Cinquant’anni «tra le pagine chiare e le pagine scure» di Rimmel
Nel gennaio del 1975, nello stesso anno e mese in cui Keith Jarrett si esibiva a Colonia registrando l’album jazz di “piano solo” più famoso al mondo (The Köln Concert), su un non meno influente fronte musicale, quello relativo al “canone italiano”, usciva Rimmel.
Il quarto lavoro in studio di Francesco De Gregori, rimasto in classifica per 60 settimane e capace di vendere mezzo milione di copie.
De Gregori e il “frammento luminoso”
Del sovvertimento semantico che il cantautore romano ha impresso alla forma canzone, del suo verseggiare da equilibrista, come anche della differenza tra poesia e canzone, si è scritto molto. Sulla questione il poeta e scrittore Alessandro Rivali, sentito da Tempi, offre un punto di vista saggiamente definitorio: «È una vita che De Gregori, umilmente, si schermisce davanti alla parola poeta. Può non esserlo in senso tecnico, certo, ma come Manzoni o Melville, se qualcuno è capace così mirabilmente di accendere i fari sul mistero della vita, poeta lo è di fatto».
Ma c’è di più. «La cosa affascinante dell’album Rimmel», ribadisce Rivali, «è la catena di immagini che si susseguono, spesso tutt’altro che sequenziali, ma esattamente in questo sta la loro bellezza. Mi sono formato con Ezra Pound, poeta credo lontanissimo da Francesco De Gregori, ma nei suoi Cantos il poeta teorizzava proprio “il frammento luminoso”, cioè quel procedere per schegge luminescenti che starà poi sta al lettore mettere insieme e interpretare».
Francesco De Gregori festeggerà i 50 anni di Rimmel con un lungo tour che partirà il 31 ottobre da Bologna«La mascella dal cortile parlava» (o di un antifascismo pacato)
Che i complessivi ventinove minuti di Rimmel – un inno alla brevitas – accennino soltanto, suggeriscano senza chiudere, è un fatto. Come è altrettanto vero che le nove le canzoni dell’album rimandino tutte, in un intreccio affascinante, alla storia personale di De Gregori e quella dell’Italia tutta intera. Le storie di ieri, per esempio – canzone uscita a distanza di un mese sia su Rimmel che su Volume 8 di De Andrè – è forse quella più politica e insieme apertamente autobiografica dell’album, sempre nel segno di quel mix di storia privata e pubblica che caratterizza lo storytelling del cantautore.
Per il direttore delle Edizioni Ares «Le storie di ieri è quasi un manifesto del 900, una lettura di tutto il dramma del secondo 900 italiano, delle spaccature che lo hanno caratterizzato e soprattutto delle morti inutili. In questo senso “I cavalli a Salò sono morti di noia / a giocare col nero perdi sempre” è un verso molto concreto. Ma è anche vero che guardando all’opera e alla biografia degregoriana nel suo complesso, dietro dobbiamo leggerci dentro anche la storia dolente di suo zio, comandante della brigata Osoppo, trucidato a Porzûs dai partigiani comunisti».
Il brano parte con una sineddoche su Mussolini («la mascella dal cortile parlava»); prosegue esplicitando la diffidenza circa il nascente Movimento Sociale e lo stesso Almirante («E anche oggi è rimasta una scritta nera / sopra il muro davanti casa mia / dice che il movimento vincerà / il gran capo ha la faccia serena,
la cravatta intonata alla camicia»); e si conclude con il rapporto tra un giovanissimo De Gregori e suo padre, cresciuto durante il fascismo tanto da avere «una storia comune / condivisa dalla sua generazione». Giorgio De Gregori, bibliotecario arrivato ai vertici dell’Aib (l’Associazione delle Biblioteche Italiane) è descritto come un «ragazzo tranquillo», che «la mattina legge molti giornali», che è «convinto di avere delle idee» ma che ha un figlio con un punto di........
© Tempi
