I numeri della crisi di fede con cui il prossimo papa dovrà fare i conti
In Italia e nel resto dell’Occidente la fede cristiana interessa sempre meno, la Chiesa ha perso la sua presa sui popoli, la religione sembra avviata all’estinzione o a metamorfosi che la stanno rendendo irriconoscibile. Come causa di tutto ciò viene invocata la secolarizzazione. La parola “secolarizzazione” ha una lunga storia e non ha un significato univoco; alcuni cercano di usarla in modo neutro, descrittivo, altri ne danno un’interpretazione assiologica, in positivo o in negativo.
Fino a qualche tempo fa era facile distinguere cantori e detrattori della secolarizzazione: i primi erano atei o agnostici, i secondi erano credenti. Negli ultimi decenni il panorama si è fatto più sfumato: ci sono non credenti che lamentano le conseguenze spiacevoli della secolarizzazione come “disincanto del mondo”, che ha trasformato ogni realtà in materia manipolabile, e ci sono teologi e sacerdoti che vedono in essa «una grande occasione» per i credenti, non più oberati dalla necessità di difendere la (o le) cristianità. Sicuramente non condivideva quest’ultima idea papa Francesco, che nella sua lettera enciclica Dilexit nos scriveva che «la secolarizzazione […] aspira ad un mondo libero da Dio» (n. 87).
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica si possono utilizzare almeno tre indicatori per farsi un’idea dei fenomeni di fronte a cui ci troviamo: la diminuzione del numero di coloro che frequentano la Messa almeno una volta alla settimana (che «assolvono il precetto domenicale», si sarebbe detto una volta); la progressiva estinzione del prestigio sociale e dell’influenza politica che la religione organizzata esercitava in passato; l’abbassamento dei livelli di ortodossia dei fedeli cattolici.
1. Il calo di frequenza alla Messa
Secondo i dati più recenti dell’Istat, riferiti all’anno 2023, gli italiani dai 6 anni di età in su che frequentano settimanalmente una chiesa, normalmente la domenica, sono il 17,9 per cento della popolazione. Nel 2001, cioè ventidue anni prima, erano il 36,4 per cento: in poco più di vent’anni la percentuale di italiani che vanno in chiesa almeno una volta alla settimana si è più che dimezzata.
S’è molto parlato delle politiche di contenimento della pandemia da Covid come di una causa per l’accertata flessione della partecipazione alle liturgie: la sospensione per un certo periodo delle Messe “in presenza” e la loro sostituzione col surrogato online avrebbero favorito un disamoramento nei confronti della partecipazione al sacrificio eucaristico, rivelando che in realtà si trattava solo di una abitudine di cui molti hanno imparato a fare a meno. La serie storica dei dati conferma solo parzialmente questa lettura. È vero che c’è stata un’accelerazione della diminuzione della partecipazione alla Messa dal 2020 ad oggi: nel 2019 la partecipazione era ancora del 25,1 per cento, cioè 7,2 punti in più del 17,9 per cento stimato nel 2023. Tuttavia la flessione dal 2001 ad oggi è stata costante, conoscendo lievissimi rimbalzi rispetto all’anno precedente soltanto nel 2013, nel 2015 e nel 2019.
La differenza sta solo nel fatto che in passato c’erano voluti dodici anni per totalizzare una flessione di 7,2 punti (dal 36,1 per cento del 2002 al 28,9 per cento del 2014), mentre dopo il Covid sono bastati quattro anni per registrare un’identica diminuzione percentuale. Le vicende relative alla gestione del Covid in ambito ecclesiale sembrano aver agito più come una tempesta di vento autunnale, che ha accelerato la caduta di foglie già secche di proprio e destinate a cadere, che non come la causa esclusiva o decisiva di una tendenza che altrimenti non si sarebbe imposta.
Le differenze tra le fasce d’età e i sessi
Se andiamo a vedere le classi d’età rappresentate, scopriamo che in chiesa ci vanno soprattutto i bambini (32,4 per cento della popolazione fra i 6 e i 13 anni) e gli anziani (28,1 per cento di coloro che hanno più di 75 anni e 25,1 per cento di coloro che hanno fra i 65 e i 74 anni). A disertare le panche sono invece i giovani: solo il 5,8 per cento di coloro che hanno fra i 18 e i 19 anni e solo il 7,7 per cento di coloro che hanno fra i 20 e i 34 anni di età vanno a Messa settimanalmente. Meno di vent’anni fa, cioè nel 2005, ci andava il 24,3 per cento dei 18-19enni (il quadruplo di oggi) e il 19,5 per cento dei 20-34enni (più del doppio di oggi). Ma anche nelle classi di età maggiormente rappresentate alla Messa settimanale la diminuzione è stata importante: nel 2005 andava in chiesa il 62,1 per cento di chi aveva fra i 6 e i 13 anni e il 47,3 per cento di chi aveva fra i 65 e i 74 anni (in entrambi i casi quasi il doppio di oggi). Non è più vero che quando le persone diventano anziane si riavvicinano al culto.
Se consideriamo il sesso, vediamo che le donne continuano ancora a frequentare le chiese più degli uomini, ma la differenza si è assottigliata: nel 2023 i maschi praticanti erano il 14,9 per cento del totale della popolazione maschile, le femmine il 20,7 per cento del totale della popolazione femminile. La forbice storicamente ampia – ancora nel 1993 quasi la metà delle donne frequentava la chiesa settimanalmente contro poco più di un quarto degli uomini – si sta evidentemente chiudendo, e anche piuttosto rapidamente.
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