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Così la Cina accetta di perdere soldi pur di dedollarizzare il mondo

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La Cina ha deciso di internazionalizzare la sua moneta, lo yuan, per farlo diventare una valuta di riserva come il dollaro Usa, e persegue questo obiettivo anche se le costa parecchi quattrini che potrebbe in alternativa incassare. L’ultimo esempio in ordine di tempo è la conversione del debito denominato in dollari che alcuni paesi africani hanno con la Cina, in debito denominato in yuan. All’inizio del mese scorso il Kenya ha finalizzato la conversione in renminbi (altro nome della valuta di Pechino) di tre prestiti cinesi stimati complessivamente in 3,5 miliardi di dollari e destinati alla costruzione di una linea ferroviaria lunga 600 chilometri fra il porto di Mombasa e la stazione di Naivasha nella Rift Valley.

Per parte sua l’Etiopia ha avviato negoziati col governo cinese allo scopo di convertire almeno una parte dei suoi 5,38 miliardi di dollari di debito verso Pechino in debito denominato in renminbi. Lo Zambia, che deve alla Cina una cifra approssimativa attorno ai 6 miliardi di dollari, segue da vicino l’accordo concluso dal Kenya nella speranza di poterne concludere uno analogo. Fuori dall’Africa, lo Sri Lanka (4,7 miliardi di dollari di debito verso la Cina) risulta interessato alla stessa soluzione.

Nairobi risparmia, Pechino ci smena

Il motivo che spinge i paesi sopra menzionati a chiedere la conversione del loro debito è la possibilità di un risparmio sul pagamento degli interessi: è vero che dall’inizio della presidenza Trump il dollaro ha perso circa il 10 per cento del suo valore, e quindi potrebbe sembrare conveniente conservare in questa valuta il debito contratto, ma si dà il caso che nell’arco degli ultimi quattro anni i tassi d’interesse........

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