“Je suis Charlie” e “Je suis Paty”? Non più
Parigi. Nella valanga di omaggi che lo scorso 7 gennaio ha ricordato le matite geniali di Charlie Hebdo, a dieci anni dall’attentato jihadista dei fratelli Kouachi che ha decimato la redazione del settimanale satirico francese, sono passati inosservati due sondaggi a dir poco inquietanti, che mostrano fino a che punto “l’esprit Charlie” sia per molti una blasfemia e il percorso per integrare la comunità musulmana nel progetto repubblicano francese ancora lungo e tortuoso.
Il primo sondaggio è stato pubblicato dalla Fondazione Jean-Jaurès e evidenzia che il 78 per cento dei francesi di confessione musulmana ritiene che la celebre vignetta su Maometto disegnata da Cabu nel 2006 non doveva essere pubblicata, dunque che la religione islamica non deve essere insultata e che i disegnatori di Charlie se la sono cercata.
Il secondo sondaggio, realizzato dall’istituto Ifop, è stato pubblicato dallo stesso Charlie Hebdo nel suo numero speciale per il decimo anniversario: il 46 per cento dei francesi tra i 18 e i 30 anni si dice oggi «scioccato» dalla copertina di Cabu su Maometto, altro che “je suis Charlie”. «L’11 gennaio 2015, si gridava: “Je suis Charlie”, “Je suis flic”, “Je suis juif”. Oggi cosa resta di questo slogan? C’è ancora un legame col giornale. Ma temo che non sia un legame affettivo e che non sia duraturo. C’è una battaglia da condurre per mantenere vivo lo “spirito Charlie”», ha dichiarato al © Tempi
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