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«Il mio viaggio nell’inferno dei Khmer rossi»

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22.06.2025

Una donna occidentale sola con le due figlie piccole, nell’impenetrabile Cambogia dei Khmer Rossi, racconta i cinque anni disumani che hanno segnato la sua esistenza. È la testimonianza unica nel suo genere di Laurence Picq contenuta nel libro edito a maggio da Tralerighe libri, per la cura di Marco Respinti e la traduzione di Nicoletta Prandoni: Oltre il cielo. I miei anni con i Khmer Rossi nella Cambogia del genocidio, 1975-1979. Si tratta della traduzione ampliata e aggiornata insieme all’autrice della prima edizione francese Au-delà du ciel. Cinq ans chez les Khmers rouges, pubblicata nel 1984 a Parigi da Éditions Bernard Barrault.

L’amore per Sikoeun

Picq fu l’unica occidentale a lavorare a stretto contatto con i dirigenti Khmer, «rappresentanti di quel comunismo spietato che eliminò in poco tempo almeno un milione e mezzo di cittadini (e forse più) con i più assurdi pretesti», come ricorda nel suo invito alla lettura all’inizio del testo Antonia Arslan.

La donna all’inizio degli anni Sessanta è una giovane francese di belle speranze e grandi ideali, nata da una modesta famiglia all’epoca del baby boom nel dipartimento dell’Oise. Dopo il liceo nei circoli marxisti parigini si innamora di Suong Sikoeun, cambogiano trasferitosi in Francia per motivi di studio come molti suoi connazionali – tra i quali anche il futuro dittatore Pol Pot. I due si sposano nel 1967 e Laurence decide di seguire il marito a Pechino, dove nel delirio della Rivoluzione culturale, comincia ad espandersi l’ideologia comunista che porterà all’affermazione degli Khmer Rossi in Cambogia, fino alla definitiva presa di Phnom Penh nel 1975, esattamente mezzo secolo fa.

Laurence Picq in uno scatto del 1984

Il “privilegio” della miseria

Laurence con le due figlie al seguito, Narèn e Sokha, si trasferisce nella capitale cambogiana al seguito di Sikoeun. È pronta ad aiutare la causa della rivoluzione dei “liberatori” che promette di costruire una società più giusta, un mondo nuovo capace di mettere tutti sullo stesso piano e di non lasciare indietro nessuno. Giunta in città, in breve, si materializza la tragedia.

Trascorre quasi quattro anni in un dipartimento del ministero degli Esteri, chiamato unità B-1, una struttura semi-abbandonata in cui centinaia di persone, “privilegiate” rispetto a coloro che vivevano nelle campagne, si mantengono con poco più di qualche pugno di riso al giorno. Laurence si adopera per aiutare in tutti i modi gli altri, sporcandosi le mani nei lavori agricoli, in cucina e impegnandosi negli uffici come traduttrice.

La microsocietà del dipartimento è costituita da uomini-automi in mano a una macchina senza nome, pronti a sacrificare ogni goccia di vita per la causa. I turni di lavoro sfiorano le diciassette ore quotidiane mentre il terrore si instilla sempre più nei cuori della popolazione. Scompaiono via via decine, poi centinaia, di persone “sospette” apparentemente senza motivo. A Laurence vengono sottratte le figlie per un lungo periodo per essere “educate” dal regime. Nei pochi momenti in cui può........

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