Una campagna di sostegno per il partigiano Iacchetti
La moglie, al ritorno dalla mia quotidiana e mattutina passeggiata con la condanna della mia vecchiaia, ossia il Jack Russel di nome Micky, mi fa: «Ieri ho visto la puntata di Tú sí que vales». «Divertente, molto divertente» e mi ha spiegato i meccanismi della trasmissione che, dice sempre mia moglie, a differenza degli scorsi anni adesso mette in gioco anche i conduttori, in non so quale prova o esibizione. Confesso di aver visto, negli scorsi anni, qualche puntata di Tú sí que vales. Quasi mi vergogno a dirlo, non più di una decina di minuti, ma essendo che il pollice televisivo, come la mia vita, a volte non ha più una direzione precisa, ogni tanto incappa in nuove e non sempre augurabili avventure. Qualche volta mi sono anche divertito. Quest’anno no.
Quest’anno mi rifiuto e costringo il pollice televisivo a girare alla larga da Tú sí que vales, soprattutto da quando tra i giudici c’è quel residuo d’uomo che corrisponde al nome di Paolo Bonolis che, non contento, negli scorsi anni ha fatto traboccare la tv commerciale (vedi, o meglio, non vedi, Ciao Darwin) di un livello di volgarità che nemmeno i Gay Pride dalle labbra rosse a canotto e dalle false tette fatte ballonzonare sui carri dell’orgoglio tri-quater sex hanno mai raggiunto. Sto parlando di quel Bonolis, che, da quest’anno, fiancheggia le varie Littizzetto, i Zerbi, le Marie De Filippi, le Sabrine Ferilli. Ma, mi dice sempre mia moglie, che, in sopraggiunta e perdipiù,........





















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