La Toscana ha fretta di far morire i suoi malati
Alle 16:47 del 17 maggio Daniele Pieroni, 64 anni, malato di Parkinson, ha attivato un dispositivo a doppia pompa infusiva. Tre minuti dopo ha smesso di respirare. Era tutto pronto: l’Asl, il farmaco, i comunicati. L’Associazione Coscioni ha documentato ogni passaggio con toni da bollettino clinico e retorica pubblicitaria: «Serenità», «umanità», «tempi rispettati». Serenamente, sì. Ma anche senza legge dello Stato.
Il punto non è solo che la legge regionale toscana sul suicidio assistito è stata impugnata dal governo e si trova oggi sotto il vaglio della Corte costituzionale. Il punto è che la si è voluta applicare comunque, giocando d’anticipo e senza l’ok della Consulta. Di più: si è scelto di offrire alla scena pubblica un “caso”, un precedente, un’immagine plastica della nuova normalità. Si può morire legalmente, anche senza legge nazionale. Bastano una giunta regionale a trazione Pd, un protocollo sanitario e i “missionari” dell’Associazione Coscioni.
Perché la Toscana ha tanta fretta?
È una strategia, non una distrazione. E produce due effetti gravi. Primo: l’introduzione surrettizia di un diritto alla morte in assenza di una cornice normativa nazionale. Secondo: la disapplicazione concreta del principio di leale collaborazione tra istituzioni. La legge toscana è sotto ricorso proprio per violazione di competenza: le Regioni non possono legiferare in materia penale né stabilire in autonomia i livelli essenziali di assistenza. Perché allora tanta fretta? Perché tanto........
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