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La democrazia, se non tiene il passo di chi ha vent’anni, smette di essere una promessa

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Uno su quattro. Tanti sono i giovani italiani tra i 16 e i 26 anni che, secondo lo studio europeo “Junges Europa 2025”, pubblicato solo pochi giorni fa, si dicono favorevoli a un governo autoritario. È un fatto politico di prima grandezza. Perché ci costringe a guardare in faccia una verità scomoda: stiamo crescendo una generazione che rischia di non credere più nella democrazia.

Fino a poco tempo fa il movimento giovanile è stato la mia casa. So bene che tra le giovani generazioni si agitano, spesso prima che altrove, le domande e i cambiamenti che attraverseranno il Paese. Per questo credo che ciò che accade in quel mondo meriti un’attenzione vera, politica, non superficiale. Se oggi da lì arriva un segnale così netto, dobbiamo prenderlo sul serio.

E la domanda che emerge, con forza, è una sola: perché? Perché in una delle grandi democrazie europee un giovane su quattro arriva a mettere in discussione, non la qualità dell’offerta politica, non la credibilità delle istituzioni, ma il principio stesso della rappresentanza democratica?

Per capirlo bisogna smettere di guardare questi numeri come se fossero un fenomeno da analizzare con distacco, e non un segnale che ci chiama in causa. Non è il tempo di minimizzare. È il tempo di fare domande vere, anche scomode. Perché dietro questa disillusione non c’è ignoranza, né superficialità. C’è un malessere profondo, nato dentro una stagione di crisi continue: ambientale, sociale, sanitaria, economica. Una stagione in cui il futuro è stato evocato molte volte, ma costruito troppo poco.

Quando la democrazia smette di produrre eguaglianza, mobilità sociale, protezione universale, allora si svuota. E quando la politica non è più in grado di indicare un destino collettivo, ma si limita a gestire l’esistente, si apre spazio per tutto ciò che della democrazia è il contrario: l’uomo solo al comando, la nostalgia dell’ordine, l’illusione dell’efficienza autoritaria.

In questo clima, ogni giovane che si volta dall’altra parte non è un’anomalia, ma uno specchio. E ignorare quello che riflette ci rende più fragili e mette a rischio le ragioni più profonde del nostro stare assieme.

Secondo lo stesso studio, solo il 57% dei giovani europei considera la democrazia la forma di governo migliore possibile. Una percentuale che scende ulteriormente tra chi si colloca a destra e vive una condizione economica di svantaggio. Un segnale chiaro: senza giustizia sociale, la democrazia si consuma.

C’è chi dirà che i giovani sono sempre stati ribelli, critici, in cerca di alternative. È vero. Ma oggi la critica non alimenta mobilitazione, si spegne nel disincanto. E la disillusione non è più solo verso chi governa, ma verso il concetto stesso di partecipazione democratica. Riguarda i partiti, le istituzioni nazionali, e anche l’Europa, che a molti appare come uno spazio che promette molto ma decide troppo poco.

Romano Prodi ha detto con lucidità ciò che molti vedono con rassegnazione: questa generazione non ha mai visto una grande decisione europea. E questo lascia il segno. Perché la........

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