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Cos’è la “tassa Zucman”, incubo delle start up francesi

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I partiti di sinistra, socialisti in testa, appoggeranno l’esecutivo Lecornu soltanto se nel suo programma sarà prevista l’introduzione della “tassa Zucman”, un’imposta annua del 2 per cento sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro che prende il nome dall’economista che l’ha proposta e che sostiene che essa dovrebbe far incamerare allo Stato 20 miliardi di euro in più all’anno.

Economisti di vario orientamento esprimono il loro scetticismo, assicurando che la tassa farebbe incassare molto meno di 20 miliardi e minaccerebbe la crescita del Pil francese; analisti finanziari la definiscono «l’ultima truffa socialista»; imprenditori del settore delle startup (che dovrebbero pagare la tassa anche in assenza di profitti) insorgono: «È una macchina per distruggere i sogni».

Una tassa sulle grandi fortune che permetta di ripianare il deficit pubblico e di alimentare la spesa sociale senza danneggiare le prospettive economiche complessive di un paese è il sogno di ministri delle Finanze, economisti, partiti politici e attivisti della giustizia sociale. Sogno resta perché normalmente l’introduzione o l’aumento delle tasse patrimoniali provocano la fuga all’estero dei potenziali contribuenti, tanto più facile in piena epoca di globalizzazione finanziaria.

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Un’altra tassa per evitare il fuggi fuggi

Non è un caso che i dodici paesi dell’Ocse che all’inizio degli anni Novanta presentavano una tassa annuale sui patrimoni (sensibilmente più bassa di quella proposta da Gabriel Zucman) oggi si siano ridotti a tre: Svizzera, Norvegia e Spagna. Nel primo di questi tre paesi l’introito di tale tassa arriva a malapena al 5 per cento di tutte le entrate fiscali, in Norvegia e in Spagna non arriva al 2 per cento.

Consapevole di questo genere di problemi il docente della Paris School of Economics aveva........

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