Liberation Day. Quando la libertà diventa un dazio
In questi giorni Trump ha tenuto banco mandando in scena il cosiddetto “Liberation Day”. Un nome altisonante, scelto per annunciare l’introduzione di dazi doganali praticamente verso tutto il mondo, compresi gli angoli più remoti. Dazi su una vasta gamma di prodotti, mediamente del 28 per cento, con punte fino al 54 per cento verso la Cina, che hanno già avuto l’effetto immediato di far cadere le borse in tutto il mondo. Trump lo ha presentato come un atto di sovranità economica. Ma per me, da sempre sostenitore della libertà economica, la libertà non può diventare un dazio! Dunque, questo ritorno indietro nel tempo alla fine dell’Ottocento resta una scelta profondamente sbagliata. Vediamo perché.
A preoccupare non sono tanto gli effetti diretti e immediati dei dazi, che incideranno sul nostro Pil per circa il -0,5 per cento, quanto per il messaggio simbolico che i dazi mandano al mondo e per ciò che rappresentano per gli equilibri del commercio e dell’economia globale nel lungo periodo. I dazi sono innanzitutto il simbolo di una regressione nel pensiero, il venir meno del principio della libertà economica come valore fondante del mercato, il segnale di una debolezza culturale e politica. E sono una rottura pericolosa del sistema di regole su cui si è costruito il commercio internazionale a partire dal Novecento: l’idea della libera circolazione delle merci e l’abbattimento progressivo delle barriere protezionistiche, come via per la crescita globale. I dazi infine sono un colpo formidabile alla credibilità degli Stati........
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