Arnaldo Pomodoro. Ritratto di un grande artista artigiano
Domenica 22 giugno nella sua casa milanese è morto Arnaldo Pomodoro, uno dei massimi scultori contemporanei italiani, alla vigilia del suo 99° compleanno. Nato a Morciano di Romagna il 23 giugno 1926, in tutte le sue opere sparse in giro per il mondo Pomodoro ha sempre inteso la scultura come una reale forma di indagine intellettuale e visiva. Riproponiamo un’intervista del nostro fondatore Luigi Amicone all’artista, pubblicata su Tempi il 22 aprile 2013.
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«L’arte è un matrimonio tra l’ideale e il reale. La creazione artistica è una branca dell’artigianato. Gli artisti sono degli artigiani, più vicini ai falegnami e ai saldatori di quanto non lo siano agli intellettuali e agli accademici, con la loro gonfia retorica autoreferenziale. L’arte usa i sensi e parla ai sensi. Affonda le sue radici nel mondo fisico tangibile. (…) Un’ortodossia monolitica ha abbandonato gli artisti in un ghetto di opinioni scontate e li ha tagliati fuori dalle idee fresche. Nulla è più trito del dogma progressista secondo il quale un valore scioccante conferisce automaticamente importanza a un’opera d’arte» (Camille Paglia)
Artigiano, falegname, saldatore. Arnaldo Pomodoro è un uomo prezioso. Perché possiede un temperamento solare. E perché è un artista curioso. Due qualità che sembrano scarseggiare tra gli artisti attuali. Caratterizzati da uno spleen che si esprime in forme di nichilismo abbastanza trite e prevedibili. E in un’espressività dell’angoscia dei tempi («l’Angoscia atroce, dispotica» che «pianta sopra il cranio chinato la sua bandiera nera», direbbe Baudelaire), spesso ridotta a banale ripetizione di mozioni da agenda politica progressista. «Altrettanto colpevole di rigido letteralismo e di propaganda – ha recentemente scritto Camille Paglia – quanto un qualsiasi predicatore vittoriano o un burocrate stalinista».
Arnaldo Pomodoro nel suo studio milanese in uno scatto del 15 luglio 2003 (foto Ansa)«La responsabilità della scultura»
Per il maestro Arnaldo, invece, al netto della retorica – poiché «la retorica è nefasta» –, la scultura «ha una grossa responsabilità. Può essere più dinamica. Come quella di Picasso. O più pensata. Come quella di Brâncuși. Ma rimane silenzio che invade lo spazio. O silenziosa lingua, come negli Ittiti che scolpivano gli ordini per la guerra. O come negli aztechi, dove sculture incise nell’oro celebravano il misterioso e terribile potere degli dei». Insomma, scultura è l’arte dello spazio offerta ai propri simili per interpretare e “illuminare” il mondo. Come si accorse lo scrittore Mario Soldati quella mattina che, aggirandosi per il centro di Milano, vide ergersi dalla bruma il famoso disco di Pomodoro piantato nell’aiuola che spartisce il traffico delle cinque vie che sfociano in piazza Meda. «Stamane ho visto una cosa stupenda. Un bronzo che non ha paura della nebbia. Un sole a Milano». E così, oltre a questa solarità, il manufatto del maestro Arnaldo è posseduto da un’indole curiosa e intrigante.
Per esempio, negli strani ghirigori argentei, nelle forme squarciate e corrose, nelle sfere e nelle monumentali colonne bronzee. Tutte opere che sono collocate in luoghi celebri del mondo. Dal palazzo delle Nazioni Unite a New York al cortile della Pigna in Vaticano; dalla Farnesina a Roma al Trinity College di Dublino; dal palazzo della Gioventù a Mosca al piazzale del Water and Power Building a Los Angeles. Opere che hanno la stessa matrice e le stesse forme fantasiose di quelle in cui ci si imbatte, appena varcata la soglia, nel cortile della nuova........
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