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Un jihadista alla Casa Bianca. Al-Sharaa ce l’ha fatta

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11.11.2025

Quindici anni fa Ahmed al-Sharaa, aka Abu Muhammad al-Jolani, languiva in una prigione americana dopo essersi unito all’Isis in Iraq ed essere stato arrestato. Ieri il jihadista, che ha militato anche in Al-Qaeda e che fino a pochi mesi fa aveva sulla testa una taglia da 10 milioni di dollari, ha incontrato nello Studio Ovale Donald Trump in qualità di presidente della Siria. Non si è limitato a stringergli la mano, come a maggio in Arabia Saudita, ha anche accettato di far entrare la Siria nella coalizione di paesi che combattono lo Stato islamico.

La giravolta non potrebbe essere più perfetta. Anche se Al-Sharaa non fa più parte dell’Isis, anche se lo ha combattuto attivamente quando ha deciso di mettersi in proprio e anche se i suoi uomini formalmente appartenevano a un nuovo gruppo terroristico denominato Hayat Tahrir al-Sham, oggi confluito nell’esercito regolare, non c’è alcuna differenza tra loro nelle metodologie e negli obiettivi perseguiti. A cambiare è solo un piccolo ma fondamentale dettaglio: il colpo di Stato di Al-Sharaa, godendo degli appoggi giusti, è riuscito, quello degli altri fondamentalisti no.

Al-Sharaa non è più un «terrorista»

Per permettere l’arrivo negli Stati Uniti del presidente siriano, il primo da quando il paese è diventato indipendente dalla Francia nel 1946, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato giovedì la rimozione delle sanzioni che lo colpivano personalmente. Subito dopo gli Usa lo hanno cancellato dalla lista dei «terroristi globali».

Washington ha anche sospeso per sei mesi la maggior parte delle sanzioni contenute nel Caesar Act, approvato per punire gli abusi dei diritti umani del governo dell’ex dittatore Bashar al-Assad.

Secondo alcuni analisti, Al-Sharaa voleva l’eliminazione definitiva delle sanzioni da parte del Congresso Usa ma ha ottenuto soltanto una sospensione parziale, una decisione che Trump poteva prendere autonomamente.

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