La persecuzione di Jimmy Lai. «In carcere a Hong Kong paga anche per la sua fede»
«Mio padre, Jimmy Lai, è un perseguitato politico. Lo tengono in isolamento da quasi 5 anni in una cella senza finestre, dove in estate la temperatura raggiunge come minimo i 40 gradi. Hanno torturato una persona per testimoniare contro di lui. Che verdetto potrà mai ricevere in questo processo farsa?». Parla così a Tempi Sebastien Lai, figlio del magnate cattolico dell’editoria imprigionato a Hong Kong nel dicembre 2020.
A Milano in occasione della Giornata della Bussola, Sebastien Lai continua a girare il mondo per mantenere alta l’attenzione su suo padre e su Hong Kong, dove in seguito all’imposizione da parte del regime comunista cinese della legge sulla sicurezza nazionale nel 2020 la società civile non può più esprimersi in alcun modo. Sebastien non ha dubbi sull’esito che avrà il processo a carico di suo padre per violazione della legge draconiana. E non per ragioni di giurisprudenza, ma di semplice matematica: «Finora, gli imputati per violazione della legge sono stati condannati a un tasso che sfiora il 100 per cento».
Anche la matematica della persecuzione, quando c’è di mezzo la Cina, non è un’opinione. Jimmy Lai è un nemico pubblico per il Partito comunista cinese, che lo vuole vedere alla sbarra fin da quando, nel luglio 1994, scrisse un editoriale contro Li Peng, detto il “macellaio di Pechino” per il ruolo che ebbe nel massacro di Piazza Tiananmen. Da quando il governo di Hong Kong lo ha fatto arrestare, il magnate è già stato condannato in quattro diversi processi, inconsistenti dal punto di vista del diritto, ma diabolicamente efficaci da quando lo Stato di diritto sull’isola è stato........





















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