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L’apostasia Lgbt diventa reato in Australia

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12.04.2025

È entrata in vigore in Australia, nel Nuovo Galles del Sud, la famigerata legge che con l’intento di mettere al bando le terapie di conversione o riparative mina la libertà religiosa, la libertà di espressione e il rapporto tra genitori e figli in tutto il territorio statale. La legge, come notato da membri della Chiesa cattolica e da attivisti per i diritti umani, è vaga e interpretabile, tanto che potrebbe portare a condanne fino a 5 anni di carcere e 100 mila dollari di multa solo per una semplice preghiera o discussione, avvenuta in pubblico o in privato, su tutto ciò che riguarda i temi dell’omosessualità o dell’identità di genere.

I cristiani sono in pericolo in Australia

Il Conversion Practices Ban Act 2024, approvato l’anno scorso ed entrato in vigore il 4 aprile, definisce come terapie di conversione «le pratiche, i trattamenti o gli sforzi sostenuti, diretti a individui sulla base del loro orientamento sessuale o identità genere, con lo scopo di cambiare o sopprimere l’orientamento sessuale o l’identità di genere dell’individuo».

La legge (già approvata in altri stati) vieta anche alcune «espressioni», nel caso queste siano incluse in una pratica, un trattamento o uno sforzo sostenuto per cambiare o sopprimere l’orientamento sessuale o l’identità di genere Lgbt. Quali? «L’espressione, anche se inclusa in una preghiera, di un credo o un principio, incluso un credo o un principio religioso» e «l’espressione che un credo o un principio dovrebbe essere seguito o applicato».

Non solo. Esprimersi su questi temi potrebbe essere un reato anche se la propria opinione o preghiera viene richiesta esplicitamente dalla persona in questione.

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