I leader che riconoscono la Palestina cercano l’applauso, non la pace a Gaza
Mentre dappertutto in Italia e non solo si organizzavano cortei e scioperi per protestare contro la guerra a Gaza e invocare la pace con il paradossale utilizzo da parte di molti della violenza – spaccando vetrine, ferendo agenti di polizia e bloccando autostrade -, alle Nazioni Unite è andata in scena la fiera della vanità travestita da coraggio politico, durante l’annuale Assemblea generale aperta da una conferenza sulla Palestina co-presieduta da Francia e Arabia Saudita.
Al Palazzo di vetro un numero mai così alto di nazioni si è aggiunto alla lista dei 147 paesi su 193 che riconoscono lo Stato palestinese. Applausi e ovazioni a parte, quella a cui si è assistito a New York «è soltanto una messinscena che non migliorerà la vita neanche di un singolo palestinese».
A dirlo non è un sodale di Itamar Ben Gvir o Bezalel Smotrich, ma Robert Malley, ex amministratore delegato dell’International Crisis Group, esperto di Medio Oriente nelle amministrazioni democratiche di Clinton, Obama e Biden, coinvolto nell’organizzazione di numerosi negoziati tra Israele e Palestina per arrivare alla risoluzione del conflitto. E come lui la pensa anche l’intellettuale Hussein Agha, negoziatore palestinese coinvolto nei processi di pace degli ultimi 50 anni.
Ondata di riconoscimenti della Palestina
Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo hanno riconosciuto domenica sera lo Stato palestinese. Ieri lo hanno fatto invece Belgio, Francia, Lussemburgo, Malta, Andorra e San Marino. La Nuova Zelanda non ha ancora deciso, ma potrebbe unirsi a breve agli altri paesi. Restano dubbiosi dell’utilità di un simile passo, che non ha riscontri nella realtà, Italia e Germania, secondo cui «il riconoscimento dello Stato palestinese dovrebbe arrivare alla fine del percorso di pace, non all’inizio».
Per quanto la decisione, totalmente ininfluente dal punto di vista pratico, abbia come obiettivo dichiarato quello di aiutare la popolazione palestinese e di frenare Israele, mantenendo viva la possibilità della soluzione “due popoli per........
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