Colloqui fiorentini. «Così 2.300 ragazzi sono rimasti inchiodati davanti a Pasolini»
«La poesia nasce da un’esigenza, non si può insegnare». È questa la convinzione di Pietro Baroni, direttore dei Colloqui fiorentini, il convegno organizzato da Diesse Firenze che dal 2002 riunisce ogni anno nel capoluogo toscano migliaia di studenti delle scuole superiori per approfondire l’opera di un protagonista della storia della letteratura italiana. «L’intento è arrivare al cuore dell’autore, perché diventi per i ragazzi un vero e proprio “colloquio” con la sua produzione». Quest’anno sono stati oltre 2.300 gli studenti che dal 27 febbraio al 1° marzo hanno affrontato l’opera di Pier Paolo Pasolini grazie al contributo di esperti e docenti. I giovani sono partiti dal titolo dell’evento, “Io sono pieno di una domanda a cui non so rispondere”, tratto dal romanzo Teorema.
Perché proprio Pasolini?
Era da qualche anno che ci giravamo intorno, è un autore a cui molto spesso non si arriva nei programmi scolastici, anche per i suoi aspetti duri e scabrosi non facili da trattare. Ma è stata una scommessa vinta, tantissimi studenti e anche molti docenti, inizialmente sconcertati di fronte alla sua figura, avvicinandosi al cuore di quest’uomo, al suo “grido”, sono rimasti inchiodati. Pasolini ti obbliga ad ascoltare questo urlo, perché lui stesso ha la lucidità di rimanerci di fronte, andando oltre le lotte al consumismo e all’edonismo che ne hanno segnato la vita. Anche se lui stesso ne rimaneva sconvolto: «È impossibile dire che razza di grido sia il mio», scriveva sempre in Teorema.
Palazzo Wanny a........© Tempi
