Israele. I familiari degli ostaggi attendono i loro cari: «È come rinascere»
Nella “piazza degli ostaggi”, nel centro di Tel Aviv, le famiglie aspettano, aspettano insieme, come hanno aspettato insieme per due anni. Come insieme hanno gioito quando, durante le provvisorie tregue, venivano rilasciati gruppi di loro parenti, come insieme sono inorriditi quando hanno visto proiettate sui maxi schermi del piazzale i macabri show di Hamas che, prima di liberarli, li hanno costretti a sorridere ai loro aguzzini e alle loro bandiere, a salutare la folla festante dei sostenitori che applaudiva i terroristi. Come insieme ogni sera si sono riuniti per pregare, parlare, protestare contro il governo.
C’è un palco da dove hanno parlato gli ostaggi rilasciati. C’è un segnale orario (si fermerà ora?) illuminato dai led che scandisce i giorni, le ore, i minuti da quella mattina del 7 ottobre 2023, quando 1.200 ebrei dei kibbutz vicino a Gaza o radunati per il “Nova festival” sono stati uccisi e 240 rapiti. In parte sono stati restituiti, vivi o morti, ma 48 ancora mancano all’appello. Venti sarebbero vivi. Di alcuni di loro Hamas ha diffuso agghiaccianti filmati. Scheletri viventi.
L’incubo nero del tunnel
Come vivono nei tunnel di Hamas lo hanno raccontato quanti sono stati rilasciati. Uno di loro, dopo la liberazione, ha composto il logo del Forum delle famiglie che campeggia sulla piazza, vicino alla ricostruzione di un tunnel e agli alberi cui sono appese le foto degli ostaggi. Si chiama Norberto Louis Har, è un artista ebreo di origine argentina, ora ha 72 anni. Aveva raccontato a Tempi l’orrore dei tunnel, mostrando il ciondolo con il logo che proprio lui ha composto con la parola «tikva», speranza, che è l’inno di Israele, un simbolo che ha regalato a papa Francesco che lo ha incontrato lo scorso anno.
«Il tunnel è un incubo nero» ci aveva detto Norberto con occhi lucidi. «Nessuno esce mai veramente e totalmente da quell’orrore, la ferita è sempre viva. Ricordo un ingresso stretto, un infinito corridoio, intorno e sopra cemento, stai in piedi a fatica. Mi hanno tenuto lì per settimane, legato, guardato a vista. Vicino a me c’era Fernando, non sapevo nulla delle donne, non potevamo muoverci. Ci ha liberati un commando israeliano. Ed ora aspetto gli altri, penso a loro ogni giorno, ogni istante, sono con me in ogni momento, nella veglia e negli incubi». Forse ora Norberto potrà dormire più sereno, forse uscirà veramente dal tunnel in cui si sente ancora rinchiuso.
«Non è ancora finita»
........© Tempi
