Vargas Llosa, il liberale che ci insegnò a essere realisti
Si è spento a Lima, all’età di 89 anni, Mario Vargas Llosa, romanziere premio Nobel per la letteratura del 2010, personaggio ecclettico e controcorrente, impegnato anche sul fronte politico e sociale. Per tracciarne un ritratto, soprattutto su questo secondo aspetto, ci affidiamo ad Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni e docente di storia del pensiero politico all’Università Iulm, che è anche autore dell’introduzione a Sciabole e utopie, raccolta di saggi di Mario Vargas Llosa edita da Liberilibri nel 2020. Vargas Llosa ha ricevuto il “Premio Bruno Leoni”, dell’omonimo istituto, nel 2014.
Dall’infatuazione per Fidel Castro all’ammirazione per Adam Smith e von Hayek, dall’iscrizione al Partito comunista peruviano all’approdo liberale e liberista. Come si spiega l’insolito percorso intellettuale e politico di Mario Vargas Llosa?
In realtà la fase “comunista” di Vargas Llosa non è poi durata molto. Vargas Llosa si allontana dal comunismo già col caso Padilla, nel 1971. Il poeta Heberto Padilla viene messo in galera, dopo che gli era stato già tolto un premio dell’associazione scrittori cubani, per le sue critiche a Castro. Poi viene costretto a una umiliante “autocritica” pubblica. Un buon numero di intellettuali firma una lettera contro la penosa confessione estorta a Padilla. C’è Mario, ma anche Hans Magnus Enzensberger e Carlos Barral, e poi Sartre, Susan Sontag, Italo Calvino, Giulio Einaudi e due dei fondatori del Manifesto, Rossana Rossanda e Lucio Magri. La cosa straordinaria non è tanto che Vargas Llosa reagisse agli elementi autoritari insiti nel socialismo, che cominciano a mostrarsi anche a Cuba. La cosa straordinaria è quel che avviene dopo: come, cioè, comincia a coltivare una serie di letture (da principio Raymond Aron, il suo amico Jean-François Revel, Isaiah Berlin) che ne fanno un liberale a tutto tondo. Un autore chiave è, come per molti, Popper, ma si potrebbe leggere La società aperta e i suoi nemici, abbracciare la democrazia, rifiutare il socialismo e tuttavia non arrivare a difendere le ragioni dell’economia di mercato. È quello che fanno in molti, in quegli anni. E invece qui entrano in gioco, secondo me,........
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