Il funerale di Kirk che non incendiò l’America
«È una sorta di consacrazione della figura di Kirk, già trattato come un martire dell’estrema destra. Si parla tantissimo di free speech, di libertà di parola, ma quello che vedremo saranno discorsi di vendetta. E come molti analisti già prevedono, lunedì potremmo svegliarci in un’America infiammata dalla retorica».
Mancavano poche ore ai funerali di Charlie Kirk e l’inviata di Repubblica era sicura: succederà qualcosa. Il mattino dopo pubblicava un’intervista allo scrittore afroamericano Percival Everett che confermava la diagnosi: il funerale è stato uno «spettacolo disgustoso», uno «show elettorale» in uno stadio «affollato da gente urlante e carica d’odio». «Abbiamo appena ascoltato una sfilza di discorsi infuocati. In che America ci sveglieremo domani?», chiede la giornalista. «Non so cosa succederà – risponde Everett – ma so che a scrivere la Storia delle vendette in questo Paese è stata sempre la destra: e questo mi spaventa».
Erika Kirk: «Perdono l’assassino di mio marito»
I funerali di Charlie Kirk dovevano trasformarsi in un rogo politico. Così annunciavano le corrispondenze da Phoenix: un’America infiammata dalla retorica della destra, pronta a riversarsi in piazza e capace di Dio sa cosa. E invece no. Allo State Farm Stadium di Glendale non c’è stata violenza, non c’è stato odio: qualcosa sì è successo, c’è stato qualcosa di “nuovo”, un’inedita saldatura tra cristiani e conservatori, ma soprattutto c’è stato il popolo che Kirk aveva raccolto intorno a sé. Un popolo eccessivo, rumoroso, spesso trash: cappellini Maga, croci giganti su ruote, cori religiosi e merchandising politico. Ma non violento.
La vedova Erika Kirk, cattolica, ha parlato per mezz’ora e ha detto la cosa più semplice e più radicale: «Perdono l’assassino di mio marito». In mezzo a duecentomila persone, in mondovisione. «Dopo l’assassinio di Charlie, non abbiamo assistito a........© Tempi
