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L’università è diventata una «fabbrica degli ignoranti»?

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07.02.2025

Come il lettore tempista sa, la rivista Lisander, nata dalla collaborazione tra Tempi e Istituto Bruno Leoni, ha qualche tempo fa dedicato un focus alla mutazione e alla crisi dell’istituzione universitaria. Dal dialogo iniziato dalla riflessione di Lorenzo Ornaghi e dal successivo dibattito sono emersi diversi spunti critici. Tra questi, spicca l’idea che la crisi dell’università derivi anche dalla mutazione del suo dna, in qualche modo: nata per allevare classi dirigenti, individui in grado di vivere responsabilmente la propria libertà e la propria esistenza, si è giunti a qualche cosa d’altro. I motivi sono i più diversi. Il punto, ha notato Ornaghi realisticamente, in un mondo in continua e radicale trasformazione, è che non sappiamo effettivamente neanche di che tipo di classi dirigenti si avrà bisogno nel prossimo futuro. Ciò significa che non è facile nemmeno immaginare quali contorni dare all’università del domani.

Fatto sta che una delle preoccupazioni emerse in svariati interventi è la seguente: se l’università non se la passa bene, è perché a essere in crisi è la rilevanza delle discipline umanistiche, sempre più viste come un orpello anziché come il cuore pulsante dell’università medesima. Il tema è al centro di un libro collettaneo da poco pubblicato dall’editore Rubbettino: Università addio. La crisi del sapere umanistico in Italia. Ne parliamo con uno dei curatori, Giovanni Belardelli, già ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Perugia.

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