Ponte, logistica e il tabù delle grandi opere al Sud
È drammatico il calvario cui sono sottoposte le opere pubbliche al Sud. Non vedono l’ora di sindacarle. Nel Mezzogiorno, per la pubblicistica nazionale a maggioranza settentrionale, ogni grande opera pubblica è tabù. Provenendo da territori abituati al parassitismo statale da decenni, non si capacitano di come si possano spendere soldi sotto Roma. Quindi si affannano a sporcare il dibattito pubblico, strumentalizzando e mistificando (inevitabilmente orientando la classe politica e dirigente) le motivazioni della pronuncia della Corte dei Conti, sentenziando su costi, congruità, ammortamento e financo sulla possibilità di realizzazione.
È la solita macchina del fango a intermittenza, che tace sui 10 miliardi spesi per il Mose, con decine di milioni annui di manutenzione (un meccanismo mangia soldi perfetto, in luogo di altre soluzioni modello olandese ma senza rendita, quindi scartate); sulle imminenti Olimpiadi che la classe politica lombardo-veneta ribattezzò dell’autonomia per sottolineare che il governo non avrebbe messo un solo euro, salvo sborsarne 6 (dagli 1,4 iniziali); sui 10,5 miliardi del tunnel del Brennero; sugli 11 miliardi della tav Torino-Lione; sui 15 miliardi regalati a Genova dopo la tragedia Morandi, con la costruzione della nuova diga foranea di 1,5........





















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