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Il nostro dovere nel nome di Giulia: educare alla libertà delle donne

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Ogni femminicidio mi turba. Come padre di una figlia, e anche come persona che si ritiene civile.

Ma devo riconoscere che l’uccisione di Giulia Cecchettin mi colpì ancora più profondamente e continua a smuovermi dentro. Lo fu per la giovane età della vittima e dell’omicida, perché entrambi stavano nel mondo universitario, dove si immagina possano esistere strumenti per navigare nell’oceano della vita e, naturalmente, per la vicinanza del caso. Ancor più forte fu l’emozione quando vidi la foto di Giulia che suscitava subito empatia: un volto dolce, un sorriso delicato. Una persona preziosa.

Ora la giustizia pare aver fatto il suo corso. Come un fiume giunto al mare dove si mescolerà ai tanti casi di violenza sulle donne.

Certo, la giustizia non può restituire ciò che è stato tolto, non può lenire il dolore. Accerta i fatti e le responsabilità. E ci mancherebbe. Ma aver diluito il tema della crudeltà dell’assassino è, forse per i miei limiti personali, difficile da comprendere, perché se c’è uno “stile” con il quale si è uccisi, questo non può essere ridotto alla mera conta dei colpi inferti.

Bisogna tuttavia accettare che la giustizia non può spingersi dove dovrebbe agire una comunità con le sue forze culturali ed educative. Perché la sfida, che rimane a noi, è nel capire che Giulia e........

© Il Mattino di Padova