«Il permesso può attendere: gli studi? Puro edonismo...»
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Fabio Falbo, detenuto a Rebibbia.
Sono Fabio Falbo 'Lo Scrivano di Rebibbia', da oltre vent’anni vivo recluso, ma non perché abbia rinnegato la mia coscienza. Sono stato condannato per reati che non ho commesso, e da allora ho sempre affermato la mia innocenza. Il mio caso è emblematico mette in luce le tensioni tra sicurezza pubblica e funzione rieducativa della pena.
Le mie ordinanze come le tante altre rispettano il concetto di udienza pubblica e sono messe a disposizione del pubblico anche con questo articolo per permettere ai liberi cittadini di leggere in questo caso, e in altri, di ascoltare e vedere in che modo si amministra la giustizia per poi capire se queste decisioni prese dai vari giudici siano avvenute nel rispetto dei diritti fondamentali. C'è da dire che se il cittadino non potesse leggere o presenziare a una udienza pubblica se ne ricaverebbe il dato che agli stessi non è permesso avere il controllo sull'amministrazione pubblica, in questo caso giudiziaria e quindi le sentenze non dovrebbero intendersi emesse in nome del Popolo Italiano.
Non ho mai chiesto sconti, né scorciatoie, ho affrontato la pena con la dignità, con l'educazione che mi è stata insegnata dai miei genitori e che porto dentro da sempre. Non ho dovuto reinventarmi, ero già una persona integra prima del carcere, e lo sono rimasto dentro.
Eppure, il Magistrato di Sorveglianza Vittoria Stefanelli (che prima aveva approvato la sintesi trattamentale stilata dall'equipe con parere favorevole al permesso premio) e il Tribunale di Sorveglianza di Roma continuano a negarmi il permesso premio, nonostante due sentenze della Corte di Cassazione abbiano annullato i rigetti, nonostante i pareri della Dna, della Dda e dei Carabinieri di Corigliano Calabro che........
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