Punire i minori come gli adulti? È folle, dicono le neuroscienze
Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha lanciato una proposta di legge che rimescola le carte nell’annoso dibattito sulla giustizia minorile: equiparare le pene dei reati gravi commessi dai minorenni a quelle degli adulti. L’iniziativa arriva in un clima di crescente allarme sociale per reati gravi compiuti da ragazzi e trova un’eco forte in chi chiede risposte dure. Il rischio, però, è cadere nella trappola di una soluzione semplicistica, che non risolve il problema e anzi ne aggrava alcuni aspetti.
La proposta di Salvini presuppone implicitamente che un sedicenne abbia lo stesso grado di preparazione psicologica e cognitiva di un quarantenne. Eppure, gli studi più accreditati in neuroscienze raccontano un’altra storia. Anni di ricerche sul cervello umano mostrano che le aree prefrontali — quelle responsabili del controllo degli impulsi, della pianificazione e della valutazione delle conseguenze — maturano dopo i vent’anni. Un giovane in adolescenza può distinguere il bene dal male, ma non possiede ancora i filtri decisionali di un adulto. La capacità di ponderare un rischio o di frenare un impulso nasce da sinapsi e connessioni nervose che si rinforzano con l’età e con l’esperienza. Pretendere che un sedicenne gestisca pressione, frustrazione o paura come un adulto significa ignorare queste differenze di sviluppo.
Negli ultimi anni le neuroscienze hanno fornito una mole crescente di dati che distinguono in modo netto lo sviluppo cerebrale degli adolescenti rispetto a quello degli adulti. Dati che oggi pongono interrogativi non solo sul piano scientifico, ma anche giuridico. Soprattutto quando si discute di reati gravi commessi da minori.........
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