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Lotta alla droga: ecco i numeri del fallimento

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25.05.2025

Il modello repressivo, in Italia, non ha né fermato il consumo né ridotto l’offerta di sostanze. Al contrario, ha prodotto costi umani e sociali altissimi. Le carceri esplodono di detenuti arrestati per droga; le persone con dipendenze restano senza percorsi di cura; chi finisce nel circuito penale si porta addosso per tutta la vita il marchio di “spacciatore” o “tossicodipendente”; le grandi organizzazioni criminali continuano a prosperare su un mercato che la repressione non riesce a scalfire. E intanto lo Stato spende miliardi tra forze dell’ordine, magistratura e carceri, senza risultati concreti.

È un sistema che continua a divorare risorse pubbliche per mantenere in piedi il proprio stesso apparato, mentre investe poco o nulla in prevenzione e supporto a chi avrebbe bisogno di aiuto. Le carceri italiane sono ben oltre la soglia di sicurezza: il tasso di sovraffollamento è al 133,52%, secondo l’ultimo rapporto del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Più di un terzo dei detenuti è in carcere per reati legati alla droga. E l’Italia continua ad avere una delle legislazioni più severe d’Europa su detenzione e spaccio, al punto da aver mandato dietro le sbarre, per anni, anche chi veniva trovato con piccole quantità per uso personale.

Nel frattempo, i servizi sanitari per le dipendenze restano carenti. I SerD — i servizi pubblici per le dipendenze — operano sotto organico e con dotazioni insufficienti. Dal 2018 al 2023, il personale specializzato si è ridotto di 252 unità. Oggi, il rapporto tra operatori e utenti è di 4,7 ogni 100 persone, contro il 7,2 dei servizi dedicati all’alcologia. L’approccio della riduzione del danno, che prevede interventi come distribuzione di siringhe sterili, counselling a bassa soglia, informazione tra pari, è stato inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza, ma resta inapplicato in molte regioni. Mancano........

© Il Dubbio