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Non credo alla disumanizzazione come fatalità

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Ogni volta che leggo di un caso come quello della famigerata e orrenda chat “mia moglie”, sento un brivido e una domanda: dove stiamo andando, non solo noi, ma la rete stessa? Assistiamo impotenti a uno scivolamento vergognoso: l’intimità trasformata in click, il riserbo violato con orgoglio, la persona ridotta a oggetto, la dignità umiliata in diretta. E in modo particolare, assistiamo alla sistematica oggettivazione dei corpi femminili, ridotti a merce da condividere, consumare, deridere. Ed è proprio in questi momenti che mi torna in mente il principio pedagogico semplice eppure potente: l’educazione come cura, come responsabilità condivisa.

Ne scrivo da molti anni, sostenendo che “educare contro la disumanizzazione” significa riaffermare il ruolo attivo degli adulti: di scuola, famiglia, istituzioni, comunità. E questo non è moralismo: è un gesto di dignità. È ritornare a considerare l’altro come persona, non come oggetto. E quando l'altro è una donna, significa anche smettere di tollerare una cultura che normalizza la riduzione del corpo femminile a spettacolo, pornografia non consensuale, trofeo da esibire.

Il web, spesso, è uno specchio deformante del reale: amplifica, irride, rende tutto uno spettacolo (a tratti osceno e degradante, come in questo caso). In particolare, alimenta una pornografia quotidiana e dissimulata, in cui le donne vengono spogliate due volte: della loro intimità e della loro umanità. L’aggressività digital, haters che fomentano odio e diffidenza, non si placa con un “mute” o con un algoritmo: chiede fermezza educativa per prevenire. Fermarsi non significa innalzare un muro, ma riallacciarsi al dialogo autentico, a quel “patto educativo” tra tutte le agenzie educanti: famiglie, scuole, luoghi sociali, per coltivare il rispetto reciproco nelle differenze, a partire da quelle di genere.

La crisi educativa e il degrado che stiamo vivendo non è solo un fenomeno digitale. È originato dalla povertà del vocabolario per descrivere ciò che sentiamo. Ho scritto e sottolineo ancora: i ragazzi hanno sempre meno dimestichezza con le parole per dire le emozioni . Quel vuoto, nel silenzio, lascia campo a insulti, scherno, violazioni della decenza che diventano virali e che riguardano anche le persone........

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