Brain rot: la invisibile minaccia nel futuro dei nostri bambini
Quando parliamo del cervello umano, dovremmo ricordare che la sua storia è una storia di straordinaria plasticità, ma anche di profonda vulnerabilità. È un organo che sa adattarsi, imparare, ricominciare; ma quando è privato di cure, di sicurezza e di amore, può subire ferite che lasciano cicatrici invisibili ma profonde, talvolta irreversibili. Negli ultimi anni, anche nel dibattito internazionale, si parla sempre più spesso di “brain rot”, una sorta di alterazione silenziosa del cervello che si sviluppa, soprattutto in relazione ad un uso continuativo del web, quando un bambino cresce in condizioni di trascuratezza, paura o assenza affettiva. Il termine “cervello marcio” può sembrare duro, ma la realtà che descrive lo è ancora di più: un lento processo di declino cognitivo ed emotivo che può cominciare già nei primi anni di vita,
È il risultato di esperienze ripetute che danneggiano la struttura e le funzioni del cervello in formazione. I bambini che vivono in ambienti segnati da negligenza, povertà o conflitti costanti crescono in uno stato di stress cronico che può alterare lo sviluppo di aree fondamentali come l’ippocampo e l’amigdala, responsabili della memoria, dell’apprendimento e della regolazione emotiva.
Le conseguenze non sempre si vedono subito. All’inizio si manifestano come blocco emotivo, difficoltà di concentrazione, ritardi nell’apprendimento. Con il tempo, però, possono trasformarsi in ansia, aggressività, isolamento o incapacità di instaurare relazioni sane. Il cervello, abituato a chiudersi nel mondo virtuale, non riesce più ad aprirsi.
Negli anni, ho incontrato molti bambini e adolescenti che portavano dentro di sé ferite invisibili. Ragazzi intelligenti, curiosi, sensibili, ma incapaci di fidarsi, di lasciarsi andare, di credere in sé stessi. Dietro il loro silenzio o il loro comportamento difficile c’era sempre una storia di solitudine emotiva: un’assenza di sguardi, di parole, di presenze. Si perdono nei pensieri, dimenticano tutto, non riescono a partecipare. E' come se vivessero "disconnessi" perché il loro cervello ha imparato, per sopravvivere, a non “sentire” troppo.
Queste storie ci dicono che il brain rot non è una metafora drammatica,........© HuffPost





















Toi Staff
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