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La sfida di 157 città intermedie d'Italia

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«Come è bella la città, come è grande la città… con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce».Così, nel 1969, Giorgio Gaber descriveva con ironia e sorprendente lungimiranza il futuro delle grandi aree urbane — quelle che oggi definiamo città metropolitane — in un’epoca in cui sembrava che l’Italia dei distretti industriali, delle piccole imprese e delle società intermedie dovesse rappresentare il vero modello vincente degli anni a venire.

Le cose sono andate diversamente. I processi complessivi dello sviluppo, l’ascesa del terziario avanzato e dei servizi ad alta intensità di conoscenza, la crisi del modello della manifattura locale specializzata di fronte all’affermazione delle catene globali del valore, hanno messo in discussione, ovunque, il ruolo delle cosiddette città intermedie, ossia quelle realtà urbane che si trovano “in mezzo” tra i grandi poli e la miriade di realtà rappresentate dalle cosiddette aree interne del Paese.

Se osserviamo il fenomeno da una prospettiva puramente economica, l’esito è chiaro: i grandi poli urbani si confermano centri di concentrazione del lavoro e della crescita. Le 14 città metropolitane italiane raccolgono oltre il 36% della popolazione, il 35% delle imprese attive, e producono il 41% del valore dei beni e servizi del Paese, con un valore aggiunto pro capite superiore di quasi un quarto rispetto al resto d’Italia.

Questa dinamica ha finito per influenzare anche l’immaginario collettivo, svalutando il ruolo dei centri intermedi. Negli ultimi anni questi territori si sono percepiti come aree “senza voce che non contano”, per usare l’efficace espressione di Andrés Rodríguez-Pose: ne sono derivate forme di malcontento e vere e proprie “vendette territoriali” espresse attraverso il voto di protesta, l’ascesa di movimenti anti-establishment e un astensionismo nelle votazioni a livelli mai registrati nel passato. 

È una traiettoria irreversibile? Sembrerebbe di no. Una recente ricerca sul “L’Italia policentrica. Il fermento delle città intermedie”, realizzata dall’Associazione Mecenate 90 in collaborazione con l’Istituto Guglielmo Tagliacarne, ha individuato 157 città intermedie che ricostruiscono quella parte dell’Italia minore che — pur provata dai processi globali — continua a rappresentare un tessuto connettivo essenziale del Paese.

I dati mostrano una solidità che va oltre le percezioni negative di molte comunità locali: questa “Italia intermedia”, che raccoglie il 18% della popolazione e produce il 20% del valore aggiunto nazionale, presenta indicatori socio-economici tutt’altro che marginali.

Anzi, rispetto alle aree metropolitane, pur con performance economiche leggermente inferiori, mostra indicatori socio-culturali e di qualità della vita migliori.

Ma, come ricorda il premio Nobel per l’economia Robert Shiller, le narrazioni contano. E quella prevalente tra molte élite locali è una storia di perdita di terreno, soprattutto sul piano economico. La percezione di impoverimento, anche in presenza di redditi medi (comparativamente) ancora abbastanza........

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