Netanyahu da Trump alla Casa Bianca: perché sarà difficile andare oltre lo show
Ad aprile scorso, in piena bufera finanziaria globale, Netanyahu era stato il primo leader mondiale “a dare il buon esempio” presentandosi alla Casa Bianca, per negoziare personalmente uno sconticino sui dazi di Trump. Tornò a casa con in mano altro, su quel tema specifico - la spada di Damocle sulla testa di migliaia di posti di lavoro - se ne venne via con le pive nel sacco. Non per le politiche protezioniste statunitensi ma piuttosto per i 21 mesi di conflitto multi-fronte (e per decenni di occupazione illegale della Cisgiordania che lentamente si trasforma in annessione) l'economia israeliana non gode di ottima salute. Secondo l'Ufficio statistico israeliano a giugno il 50% delle imprese ha registrato un calo di entrate del 35%. Non vedono crisi invece le start up di settori come l'intelligenza artificiale e la sicurezza, informatica in primis. Il ministero delle Finanze, quello al cui vertice siede Bezalel Smotrich, starebbe rivalutando la previsione di crescita per il 2025 al 3,6%. J.P. Morgan abbassa la proiezione al 2%. Quello che si profila è un certo ottimismo degli investitori per i potenziali “dividendi della pace”, generati dalla geopolitica. A dare fiducia alla finanza, caso più raro che mai, è il ritrovato impegno “diplomatico” di Donald Trump in Medio Oriente: da Teheran a Damasco fino a Gaza. Le voci di un trattato con la Siria e quelle di una tregua di 60 giorni con Hamas hanno fatto schizzare gli indici azionari della borsa di Tel Aviv ai massimi storici. In questo clima di “euforia” dei mercati (mentre a Gaza si muore in coda per un sacco di farina) è forte la spinta verso un prossimo taglio dei tassi di interesse. Ricetta idealmente decantata dal populismo e mal digerita dalle banche centrali.
Lunedì si apre il sipario, in scena il duo Bibi & Trump, il gatto e la volpe di collodiana memoria. Al centro del colloquio tra i frontman del sovranismo ufficialmente c'è l'Iran, il futuro della striscia di terra palestinese bagnata dal Mediterraneo e la liberazione degli ostaggi. Non è detto che in pentola bolla qualcosa oltre l'obiettivo del cessate il fuoco: il riferimento è all'espansione degli Accordi di Abramo. L'approccio di Trump in questa tipologia di incontri istituzionali è del tutto imprevedibile, aprioristicamente. Al contrario l'imperativo di Bibi, in simili circostanze, è di recitare seguendo il copione stabilito. Scrive Amos Harel su Haaretz: “Come già accaduto in passato, Netanyahu potrebbe voler mettere in scena uno show per il pubblico americano”. In cartellone la firma (basta la parola) ad accettare l'accordo di tregua, che in realtà al momento Bibi considera inaccettabile. “Netanyahu sa che un cessate il fuoco duraturo metterebbe a repentaglio la sua alleanza con i due partiti di estrema destra, che tengono in vita la sua coalizione”, annota Harel. Itamar Ben-Gvir pone come condizioni la totale conquista della Striscia,........© HuffPost
