«La grammatica serve a dare un nome alle cose»
«La cultura della regola inizia dallo studio della grammatica. È importante trasmettere all’allievo, fin dall’inizio, il valore della correttezza linguistica e formale, dell’ordine e della chiarezza nella comunicazione. La chiarezza deve essere presentata come una forma di autocontrollo e anche di un doveroso impegno verso l’altro». Sono le parole con cui il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato le novità sui programmi di scuola primaria. La grammatica come educazione alla cultura della regola, dunque.
La linea di pensiero ha fatto storcere il naso a tanti del mondo della scuola, che vi hanno colto il ritorno nostalgico a una certa cultura militaristica della regola. Giulia Addazi, su Domani, ha parlato di «ginnastica dell’obbedienza», di «catechismo» e «addestramento».
La grammatica può avere davvero questa finalità? E, più a fondo, a cosa serve studiarla? Ne abbiamo parlato con la professoressa Daniela Notarbartolo, già esperto Invalsi e autrice di testi per la scuola, che ha trascorso una vita su queste domande tra ricerca ed esperienza didattica sul campo. Non da sola, ma all’interno di una comunità di ricerca legata all’associazione Diesse, un vivace contesto associativo che aggrega centinaia di docenti con l’obiettivo di sviluppare la propria professionalità senza subire la formazione imposta dall’esterno, ma scegliendone metodi e intenti. Il 23 giugno scorso alcune riflessioni sul tema sono state al centro di una tavola rotonda dal titolo “Per una grammatica coerente e ragionevole”, a cui ha preso parte anche il professor Michele Prandi, per la presentazione del libro di Notarbartolo e Branciforti (Capire come… funziona la grammatica, Principato 2024).
Professoressa........© Tempi
