Chiedetevi se siete felici. I segreti della fabbrica di cioccolato Laica
Anche le cose più ovvie della nostra vita, quelle che “ci sono da sempre”, di solito hanno un inventore. Ecco, le mitiche monete di cioccolato le ha inventate negli anni Sessanta un certo Lino Saini, fondatore ad Arona dell’azienda Laica, oggi rilanciata e condotta dai tre figli amministratori delegati Andrea, Lucia e Fabio. Che nel Dna della famiglia Saini ci fosse un certo carattere innovatore, però, era chiaro già molti decenni fa. La prova è in un vecchissimo servizio del Cinegiornale Luce del 1937, reperibile su YouTube, che magnificava le sorti del «nuovo molino ad alta macinazione di Cressa», provincia di Novara, all’epoca appena dichiarato «uno dei più moderni del mondo» da «una commissione di tecnici germanici e svedesi». Lo aveva messo su Alberto Saini, il papà di Lino, classe 1899, ingegnere laureato in Svizzera, che oltre a progettare quello stabilimento secondo le più avanzate tecniche dell’epoca, aveva anche realizzato per i suoi 110 operai, come si vede nel notiziario dell’Istituto Luce, «una sede dopolavoristica dotata di una palestra per il tennis e di un’ampia piscina». Altro che Silicon Valley.
Ovvio che negli anni di stenti della Seconda Guerra mondiale, in un paese in ginocchio come l’Italia, un gioiello del genere non poteva che fare gola al regime fascista, che infatti provò a impossessarsene. Alberto Saini, però, non volle sentire ragioni, «secondo me non tanto perché fosse legato alla sua opera, quanto perché all’epoca aiutava i partigiani», racconta a Tempi il nipote Fabio, che tutte queste cose ha dovuto ricostruirle spulciando archivi e risalendo alle fonti storiche. «Che razza di uomo fosse mio nonno l’ho capito nel tempo. Ancora negli anni Novanta la gente fermava mio padre durante le nostre visite al cimitero: “Ma lei è il figlio dell’Alberto?”».
Fatto sta che Alberto Saini nel 1944 rimane ucciso in un’imboscata fascista. E appena due anni dopo, nel 1946, suo figlio Lino dà vita poco più che ventenne all’azienda “Sant’Alberto” (non un nome a caso, evidentemente), che quando nel 1963 si trasferisce nello stabilimento dove Tempi ha incontrato Fabio già si chiama Laica. È l’acronimo di Lavorazione Industriale Cioccolato e Affini. «Quando lo abbiamo scoperto, recentemente, ci è subito dispiaciuto che la “i” non significasse “italiana” come avevamo sempre creduto». La verità rovinava la narrazione a base di “made in Italy”. «A ben vedere, però, la “i” di “industriale” stava lì a testimoniare qualcosa di ancora più importante dell’italianità: una capacità di visione. L’azienda era poco più di un laboratorio allora, ma mio padre aveva già in mente qualcosa di grande. Questo colpisce».
Veduta aerea dello stabilimento di Laica ad AronaIl passaggio generazionale
L’innovazione nel Dna, si diceva. Nata nello stesso anno dei suoi principali competitor nel settore del cioccolato, che «all’epoca stava diventando un prodotto di largo consumo», Laica si è affermata nel tempo........
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