La presenza del “piccolo gregge” che insegna la convivenza in Terra Santa
«Sono israeliano ma non sono ebreo, sono arabo ma non sono musulmano: sono cattolico, greco cattolico, melchita e la mia famiglia affonda le sue radici da mille anni in una terra fenicia, siriana, israeliana, palestinese: tutti i popoli della Bibbia sono riassunti nel mio dna eppure appartengo alla minoranza delle minoranze delle minoranze. I cristiani sono meno del 2 per cento della popolazione nella terra dove è nato Gesù. I cattolici il 5 per cento del 2 per cento. Io ho un passaporto dello Stato ebraico e per i palestinesi sono uno straniero, per non dire un nemico. Ho una laurea presa a Roma in Medicina grazie ad una borsa di studio, insegno nelle scuole di Haifa ad allievi ebrei, cristiani, musulmani, drusi, figli di beduini e circassi. Soprattutto i musulmani fondamentalisti, che stanno crescendo anche qui, nel Nord di Israele, mi guardano con sospetto, se non con odio. Per loro un cristiano è un avamposto dell’Occidente. E mi guardano con sospetto molti ebrei, non solo ultra ortodossi. Per loro sono la memoria dell’antigiudaismo che per secoli e secoli ha perseguitato le comunità ebraiche della diaspora. Un “complice” storico dei crociati».
Una presenza che ti definisce
George Khoury racconta la sua storia nella casa di famiglia in un villaggio della Galilea del Nord. Poco lontano, sulle colline più a nord, c’è Fassuta: un paese di tremila abitanti che vivono sotto il tiro dei missili di Hezbollah. L’esercito israeliano li ha più volte invitati a evacuare la zona, ma loro sono rimasti. Ogni giorno suonano le campane della chiesa di Mar Elias, di Sant’Elia, e il suono che si spande nella valle che scende dai monti che segnano la linea di demarcazione con il Libano ricorda che i cristiani sono lì. Tra le bombe e la contraerea. Una presenza. Viva. Lo avevo conosciuto trent’anni fa, Gery Khoury, il sindaco di Fassuta, e ripeteva sempre questa parola, l’unica capace di riassumere la vera identità. Gery ne aveva capito il senso vero proprio studiando a Roma, come George (Khoury è il cognome più diffuso tra il Libano e la Galilea).
Gery negli anni Settanta aveva conosciuto quel gruppo di “strani cristiani” che all’università avevano fatto della presenza la loro unica e riassuntiva definizione, prima ancora di definirsi come Cl o Cattolici popolari. E spero che qualcuno tra i lettori meno giovani di Tempi ricordi i suoi interventi nelle infuocate e ideologiche assemblee, in cui spiazzava tutti, o almeno quanti erano già pronti a identificarlo nelle loro fila, o in quelle avversarie. Lui parlava dei bisogni veri. «Vedi – mi aveva detto un giorno in cui ero andato a trovarlo a Fassuta – a Roma ho scoperto che proprio la Presenza mi definiva: in una compagnia........
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