menu_open Columnists
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close

La voce dei malati alla Consulta

3 0
31.10.2025

Gli ultimi due processi dinanzi alla Corte costituzionale in materia di fine vita, conclusisi con le sentenze n. 66 e n. 132 del 2025, sono stati l’occasione di una importante novità, rappresentata dall’intervento processuale di 6 malati inguaribili contrari all’estensione della pratica del suicidio assistito e alla introduzione dell’eutanasia.

Gli intervenienti, ammessi come parte nei due giudizi, sono stati rappresentati dall’avv. Carmelo Leotta, del foro di Torino, associato di Diritto penale all’Università Europea di Roma e dall’avv. Mario Esposito, del foro di Roma, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università del Salento.

Il primo fronte: il suicidio assistito e il requisito del “sostegno vitale”

Il primo grande fronte, originato dal caso Cappato e dalla storica Sentenza n. 242/2019, riguarda la non punibilità dell’aiuto al suicidio (articolo 580 del Codice Penale). In essa, la Consulta ha stabilito una serie di condizioni per l’accesso, tra cui la necessità che il paziente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.

In una recente questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Milano, si è messo in discussione proprio questo requisito, sostenendo che sia discriminatorio per chi soffre in modo insopportabile ma non sia sottoposto al trattamento di sostegno vitale. In questo prima caso, 4 malati affetti da patologie irreversibili ma non sottoposti a trattamenti di sostegno vitale sono intervenuti al giudizio per sostenere le ragioni opposte, ovvero quelle dei malati che, pur trovandosi in condizioni di sofferenza, a volte difficilmente sopportabile, chiedono che il divieto penale non venga ulteriormente allentato. La preoccupazione manifestata da questi pazienti è che rimuovere il requisito del sostegno vitale apra indiscriminatamente le porte al suicidio assistito, indebolendo la tutela dei più fragili e introducendo una pressione sociale implicita a scegliere la morte.

Il secondo fronte: no all’eutanasia

Il secondo e forse ancora più delicato fronte è quello sull’“eutanasia attiva”, che in Italia è vietata e punita come omicidio del consenziente (articolo 579 del Codice Penale). Anche su questo punto, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in seguito a un’ordinanza del Tribunale di Firenze. In sostanza, si chiedeva di estendere la possibilità di porre fine alla propria vita, anche per mano di un medico, per quei malati che possiedono i requisiti previsti per il suicidio assistito, ma che non sono fisicamente in grado di autosomministrarsi il farmaco letale.

In questo giudizio cruciale, Leotta ed Esposito hanno assistito e rappresentato due malati che, pur potendo rientrare nei requisiti richiesti per il suicidio assistito, hanno manifestato il loro interesse alla conservazione del divieto di eutanasia. Attraverso l’intervento nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2025, i due malati hanno dato voce diretta a chi, lottando quotidianamente contro la malattia, chiede allo Stato non una “scorciatoia mortale”, ma l’impegno concreto a implementare seriamente le cure palliative e la vicinanza umana, affinché nessuno si senta costretto a morire per la mancanza di assistenza e solidarietà.

L’intervista che segue all’avv. Leotta ci offre l’opportunità di approfondire le ragioni di un intervento che ha rappresentato una novità nei giudizi costituzionali sul tema oggi più discusso in Italia in ambito bioetico e biogiuridico.

Iniziamo con un quadro generale: quale ruolo avete ricoperto, lei e l’avv. Esposito, in questi giudizi e qual è stato il senso dell’intervento dei malati contrari all’estensione della morte assistita?

L’avv. Esposito ed io abbiamo ricoperto il ruolo di difensori, nel primo processo (conclusosi con la sentenza n. 66 del 2025) di quattro malati, nel secondo (conclusosi con la sentenza n. 132 del 2025) di due malati che, pur trovandosi in........

© Tempi