La vita meravigliosa di Ermanno (e di noialtri storpi) al Meeting
«Il peccato più grande contro la propria vita e il proprio destino è l’insistenza sul proprio male, sulla propria debolezza, sulla propria incapacità. “Ma io sono incapace. Io non sono capace”. “Certo che non sei capace! Ma che scoperta è? Sei niente! Ma vuoi dire che Dio è incapace?!”».
(L. Giussani, Affezione e dimora)
Eccolo, il punto. La vita non comincia da ciò che sai fare, ma da Chi ti prende e ti abbraccia. È la scoperta di don Giussani, ed è la storia intera di Ermanno lo storpio.
«Miraculum saeculi»: così lo chiamavano già i suoi contemporanei. E parliamo dell’anno Mille, un’epoca che non temeva le parole grandi. Ermanno, il monaco “contratto”, costretto in un corpo che non trovava pace nemmeno a letto, rimase per tutti “meraviglia del suo tempo”. Storto, fragile, apparentemente da scartare, e invece custodito dai benedettini di Reichenau, quell’isoletta verde in mezzo al lago di Costanza. Da quelle mani attorcigliate sono sgorgate pagine di storia, musica, astronomia, teologia. Ma soprattutto è passata la Grazia di Dio, che ha scavalcato mura e secoli per arrivare fino a noi.
E allora la domanda vera: che cosa c’era di miracoloso in quest’uomo che non avrebbe mai potuto nemmeno sognare di scrivere, parlare, uscire dalla propria incapacità?
Ermanno lo storpio al Meeting
Il Meeting di Rimini, padiglione C5, ci ha fatto il regalo di raccontarcelo con una mostra che prende in prestito le parole di San Paolo: Un tesoro in vasi di creta. Ermanno “lo storpio” chiamato a guardare in alto. Il titolo è già un giudizio. Perché non si tratta di raccontare la vita di un disabile geniale, ma di uno che ha avuto una dimora, un’amicizia, e per questo ha potuto alzare lo sguardo.
Il percorso si snoda attraverso le parole di un amico, il discepolo Bertoldo, attorno a un chiostro. Non una scenografia, ma un cortile vivo, pieno di famiglie, associazioni, comunità. Gente che, come allora l’imperatore e il papa, si presenta davanti a Ermanno con domande e con la propria faccia. Non un museo di reliquie, ma un dialogo presente.
«La mostra nasce da una lezione di don Giussani del 1972, rivolta a degli operatori........
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