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Babbo Natale non consegna l’emendamento che blinda lo sfruttamento

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C’è un dato di fatto: gli stipendi in Italia non sono adeguati al costo della vita e sono fermi, bloccati da anni. A questo si aggiunga che passano anni prima di adeguare i contratti collettivi nazionali, che dovrebbero regolare la qualità e la quantità del lavoro dei lavoratori di ogni settore.

Lo scenario si complica se pensiamo che in Italia esistono più di 900 contratti collettivi (nonostante l’impegno del CNEL che ne avrebbe voluti registrati fino a 1.300), e fra questi circa 200 sono quelli definiti “pirata“, ovvero sottoscritti da aziende specifiche con il benestare di sindacati (più o meno) fantasma, che chiudono più di un occhio a favore di padroni generosi e che coinvolgono realtà documentate, numeri certificati, sentenze depositate. Il settore della vigilanza privata ne è l’esempio più emblematico: 4,80 euro lordi all’ora, che si traducono in 680 euro netti al mese. Meno del vecchio reddito di cittadinanza, per lavoratori che garantiscono la sicurezza di banche, supermercati, uffici pubblici.

Ma non è solo la vigilanza. Il CCNL multiservizi, i contratti della ristorazione collettiva, settori del terziario e del turismo: secondo uno studio della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano, almeno il 56% dei contratti collettivi analizzati presenta livelli retributivi inferiori ai 9 euro l’ora, e riguarda anche i contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali storicamente maggioritarie.

Oltre 200 contratti collettivi al ribasso operano nei settori del terziario e del turismo, coinvolgendo circa 160.000 lavoratori e più di 21.000 aziende. Ogni lavoratore in dumping contrattuale perde oltre 8.200 euro all’anno rispetto ai contratti di riferimento: si tratta di un sistema che sottrae quasi 1,5 miliardi di euro ogni anno al sistema economico. Ed è proprio su questo terreno che si gioca la partita più insidiosa.

Le associazioni di categoria – da Confindustria a Confcommercio – hanno costruito negli anni una narrazione perversa di fronte alla critiche di sfruttamento: Noi rispettiamo i contratti collettivi. Come se questo fosse una garanzia di equità. Come se il rispetto formale di un accordo firmato potesse legittimare salari da fame.

Il meccanismo è semplice quanto cinico: si applica un contratto collettivo che prevede retribuzioni indecenti, si paga quanto stabilito, e quando arrivano le contestazioni si risponde con l’arma della legalità formale. Abbiamo applicato il CCNL di settore, dicono. E tecnicamente hanno ragione; ma è una ragione che puzza di ricatto sociale.

Centinaia di sentenze dei tribunali italiani hanno smontato questo castello di carte. I giudici, applicando l’articolo 36 della Costituzione – quello che stabilisce che la retribuzione deve essere “proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” – hanno stabilito più volte che rispettare un contratto collettivo inadeguato non esonera il datore di lavoro dal garantire una retribuzione........

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