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Autismo e inclusione: dalle parole ai fatti

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L’errore più grande che si possa fare è fermarsi alle parole, al di là della valenza positiva che possono esprimere. Ancor di più quando si affronta un tema delicato e complesso come la disabilità e i disturbi dello spettro autistico: in questo caso, molte volte le parole, anche se generate da sincera solidarietà e compartecipazione nei confronti di chi il problema lo vive sulla propria pelle, rischiano di essere inutili se non sono seguite dall’azione, dalla volontà di offrire un contributo concreto ad un problema che, anche dal punto di vista numerico, ha grande incidenza nella nostra società. Partiamo infatti da un dato: la sindrome dello spettro autistico, in Italia, riguarda almeno 550mila giovani sotto i 20 anni.

È una fascia di età in cui è fondamentale l’apporto di misure adeguate di welfare, finalizzate al sostegno non solo dei pazienti ma anche delle loro famiglie, all’integrazione nella scuola e nella società, a mettere a disposizione gli strumenti per il loro futuro. Anche perché c’è un aspetto che non bisogna mai dimenticare: con l’avanzare dell’età e magari con la perdita dei genitori o dei parenti che si occupano di loro, le persone affette da autismo, nella stragrande maggioranza dei casi, rischiano di essere condannate ad un ulteriore pericoloso isolamento. Dunque, è particolarmente necessario trovare modalità e sistemi che ne permettano il coinvolgimento e l’avvio al mondo del lavoro, unica strada pure per garantire una vita dignitosa e indipendente, per quanto possibile.

Certo, la strada non è per niente semplice e soprattutto le Istituzioni........

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