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Tra legge e coscienza vince ancora l’interesse

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11.11.2025

È di venerdì scorso la tragicommedia inscenata dalla ineffabile iniziativa di Renato Brunetta, presidente del Cnel – il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che dovrebbe costituire una sorta di camera di corporazioni con al suo centro sensibilità spiccate per la vita economico-sociale del Paese – il quale ha pensato bene di far approvare una deliberazione all’Ente per incrementare il proprio trattamento retributivo da 240.000 € annui a 310.000. La vicenda, al di là delle tristi considerazioni che può suscitare in ciascuno, è emblematica d’un grave scadimento nella sensibilità e nella qualità delle élites, vale a dire di quella parte della società che, per essere più dotata di mezzi culturali, di potere e di sostanze, dovrebbe antivedere e soprattutto fare da guida al resto della collettività. La storia non coinvolge soltanto il Brunetta, ma è proprio una non elegante storia di dirigenze pubbliche incapaci di tenere da parte pur legittimi egoismi, in ragione delle più alte responsabilità di cui sono portatrici e dei notevoli privilegi che esse già da sole conferiscono a chi si trova a rivestire certi incarichi.

Una norma del 2014, l’articolo 13 decreto legge 64, in ragione delle difficoltà in cui versava – e peraltro versa – la finanza pubblica, aveva fissato nel ragguardevole tetto di € 240.000 annui il massimo retributivo per chi riceve stipendi dallo stato. Inutile dire, che questo limite era di fatto già stato eluso dai più callidi grand commis che, assicurandosi altre tipologie........

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