Alla COP30 di Belém si decide il futuro del pianeta. Cos’è e cosa possiamo aspettarci (intanto l’Italia si sfila)
In uno scenario geopolitico incerto e sempre più frammentato, attraversato da crisi multiple e da un negazionismo climatico che riemerge con forza non solo negli Stati Uniti, si è aperta a Belém, in Brasile, la trentesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (COP30). Dal oggi al 27 novembre, la capitale dello Stato del Pará – una delle regioni più povere e vulnerabili del Paese – diventerà il centro del dibattito globale sul futuro del pianeta. Sono attesi rappresentanti di 162 Paesi: un numero che testimonia la portata della sfida, ma anche la fragilità degli impegni finora messi in campo.
Perché proprio Belém? La risposta è tanto simbolica quanto politica. Alle porte della foresta amazzonica, la città sorge accanto a uno dei più importanti ecosistemi del pianeta: un “polmone verde” essenziale per l’assorbimento del carbonio e la regolazione del clima globale. Ma è anche un territorio ferito, devastato dalla deforestazione e dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Qui la crisi climatica non è una previsione futura: è una realtà quotidiana che colpisce prima di tutto le popolazioni indigene, da decenni in prima linea nella difesa della terra e della biodiversità. Belém, in questo senso, è il luogo ideale, o forse inevitabile, per parlare di giustizia climatica e sociale.
Non sono mancate le difficoltà........





















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