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Trump e la nuova diplomazia commerciale tra atti di forza e redditizi accordi economici

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Un’analisi della strategia geopolitica di Donald Trump: tregue commerciali, accordi di pace, pressione militare e business per ridefinire l’ordine mondiale.

L’accordo commerciale, raggiunto da Donald Trump e Xi Jinping a fine ottobre in Corea del Sud, esemplifica il tipo di approccio che il presidente americano ha nei confronti della geopolitica: un articolato mix di pressione, diplomazia e affari, che punta alla ridefinizione dei principali equilibri internazionali, in vista di un riassetto dell’ordine globale. Era del resto un mondo in fiamme quello che Trump, a gennaio, aveva ereditato dalla precedente amministrazione statunitense. Mentre Joe Biden era alla Casa Bianca, gli Stati Uniti avevano perso influenza sull’America Latina a vantaggio della Cina, il Medio Oriente era nel caos e la Russia aveva avviato l’invasione dell’Ucraina. Poi, è arrivato il tycoon, che, adesso, sta cercando di rimettere ordine. La strada è lunga e le incognite restano numerose. Come continuano a registrarsi le copiose “sparate” del presidente, fughe in avanti a volte scomposte nei modi e nelle occasioni che rischiano di mandare all’aria il lavorìo diplomatico dietro le quinte. Tra le più clamorose restano la volontà di annessione della Groenlandia, o la messa sotto tutela Usa del canale di Panama, o l’invasione del Canada. Anche sulle tempistiche, spesso, il tycoon fa cilecca: come quando promise la pace in Ucraina in due settimane.

Tuttavia, dei risultati in chiave diplomatica ci sono stati: ha mediato con successo alcuni significativi accordi di pace, da quello tra Armenia e Azerbaigian a quello tra Repubblica democratica del Congo e Ruanda. Ha anche bombardato e isolato l’Iran per spingerlo a negoziare sul nucleare, portando inoltre a casa una storica intesa per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Senza poi trascurare il suddetto accordo commerciale con Pechino, sulla cui base The Donald ha ridotto i dazi e sospeso le tasse portuali speciali alla Cina, mentre la Repubblica popolare ha differito le restrizioni all’export di terre rare, impegnandosi anche ad acquistare ingenti quantitativi di soia statunitense. Sull’Ucraina, è vero, sta incontrando più difficoltà del previsto. Ma ha almeno avuto il merito di smuovere le acque dopo tre anni di stallo politico-diplomatico. Ha teso, sì, la mano a Vladimir Putin per avviare un dialogo, ma ha, al contempo, messo sanzioni alle compagnie petrolifere russe Lukoil e Rosneft. Infine, Trump sta cercando di far recuperare terreno a Washington anche in America Latina: è in questo senso che va letta la pressione militare statunitense sul regime filocinese di Nicolas Maduro.

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