Sentenza Ciancio, lo strabismo giudiziario
Di fronte a una sentenza non si esulta. Neanche di fronte a questa sentenza. Intanto perché un’aula di giustizia non è una curva di uno stadio: si consultano i codici, non si sventolano bandiere. E poi perché l’attesa è stata come anestetizzata dalla certezza di avere sempre creduto nell’innocenza del nostro editore, per la conoscenza della persona e dei fatti ma anche sulla scorta di pronunciamenti intermedi e paralleli: l’archiviazione per Mario Ciancio Sanfilippo era stata avanzata una volta dalla stessa Procura che poi ne ha chiesto la condanna a 12 anni e un gup pronunciò sentenza di non luogo a procedere (annullata poi dalla Cassazione e giudizio disposto da altro giudice), senza contare la decisione della Corte d’appello e poi la pietra tombale posta dalla Suprema Corte sulla misura di prevenzione. Ora lo ha statuito un tribunale: Ciancio non ha concorso alle attività della mafia, non c’è prova del teorema accusatorio.
Una sorta di brocardo dice che una sentenza non si commenta, specie quando se ne conosce solo il dispositivo. Giusto. Ma l’intera vicenda merita una riflessione a prescindere dalle motivazioni che seguiranno e nel pieno rispetto del lavoro dei magistrati. Questa inchiesta arrivata a sentenza dopo 14 anni dalla sua apertura – un arco temporale, nel corso del quale l’imputato è passato dalla terza alla quarta età – ha provato a leggere con gli occhiali di oggi fatti di ieri l’altro, riavvolgendo il nastro sino ai primi anni Ottanta, guardando a tutt’altro contesto e producendo così uno strabismo giudiziario. Punto. Anzi, punto e virgola.Perché c’è da dire anche che con Ciancio si è di fatto inteso processare non una singola persona ma il rappresentante più in vista di una città, di un pezzo di storia siciliana. Lo si ammetta, almeno adesso, a giochi fatti in primo grado: con lui sarebbe stata condannata una comunità,........
© La Sicilia
visit website