Il capo dello Stato dalla Monarchia alla Repubblica
Durante quella sorta di “limbo istituzionale” che si venne a creare dopo l’8 settembre 1943, con il trasferimento repentino della famiglia reale da Roma a Brindisi e successivamente a Salerno, il Palazzo del Quirinale rimase nella condizione di sede vacante, fino alla Liberazione di Roma. La bandiera sabauda rimase sul Torrino del Quirinale fino all’11 settembre 1943, quando venne ammainata per scongiurare rappresaglie da parte tedesca. Dopo il Congresso di Bari del Cln, che Radio Londra aveva definito “il più importante avvenimento della politica nazionale dopo la caduta di Benito Mussolini”, Il 19 febbraio 1944 Enrico De Nicola ebbe un drammatico colloquio col re a Ravello – presenti la Regina e il ministro della Real Casa – formulando la proposta previamente accettata dai generali anglo-americani e dai rappresentanti delle forze antifasciste, di nominare il principe di Piemonte luogotenente generale del Regno. Ciò per superare le resistenze del suo interlocutore, restio ad uscire di scena, e per consentirgli – al contempo – di non doversi vedere costretto ad una vera e propria abdicazione. Ciò permise, nel rispetto letterale dello Statuto, di traghettare – in modo tendenzialmente indolore – l’Italia post-fascista alla democrazia, prima ancora che il popolo fosse chiamato a pronunziarsi sulla futura forma di governo, attraverso il Referendum istituzionale. Tramite la Luogotenenza era stata salvaguardata la dignità formale del re, nei confronti del quale De Nicola aveva configurato una “responsabilità oggettiva”, nel momento in cui dovette chiedergli sostanzialmente di farsi da parte, proprio attraverso l’espediente tecnico-giuridico in parola.
La sofferta determinazione venne ufficializzata dal sovrano nel suo proclama del 12 aprile 1944, comunicando egli l’intendimento di abbandonare la vita pubblica e di nominare suo luogotenente generale il figlio Umberto, a decorrere dalla data dell’effettivo ingresso degli Alleati in Roma. Il giorno successivo alla liberazione della Città Eterna da parte degli Alleati, con Regio decreto 5 giugno 1944, numero 140, Vittorio Emanuele III si risolse pertanto alla nomina luogotenenziale, seppure con una formula che si prestava all’equivoco: “Il nostro amatissimo figlio Umberto di Savoia, principe di Piemonte, è nominato nostro luogotenente generale. Sulla relazione dei ministri responsabili, Egli provvederà in nome nostro a tutti gli affari dell’amministrazione ed eserciterà tutte le prerogative regie, nessuna eccettuata, firmando i reali decreti”. Malgrado la pericolosa ambiguità, Umberto sgombrò il campo da ogni ulteriore fraintendimento in occasione della cosiddetta prima Costituzione provvisoria, il Decreto legge 25 giugno 1944 numero 151, da lui siglato come luogotenente del Regno, statuente – tra l’altro – che dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali sarebbero state scelte dal popolo italiano, il quale a tal fine avrebbe eletto a suffragio universale, diretto e segreto, un’Assemblea costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato. Con la nuova configurazione della Luogotenenza, venne meno la responsabilità politica del principe Umberto verso il re, con la correlata possibilità dell’eventuale revoca della Luogotenenza da parte di quest’ultimo.
Contemporaneamente, era avvenuta una “novazione” della fonte del potere Luogotenenziale: non era ormai più il sovrano, bensì il Governo, espressivo del volere dei partiti sottoscrittori del “Patto di Salerno”, la fonte in parola. Essendo rientrato a Roma già subito dopo la ricordata liberazione, Umberto si era insediato al Quirinale, che idealmente “aveva riaperto i battenti”, in realtà mai stati chiusi, in quanto anche durante l’assenza della famiglia reale dall’8 settembre 1943 al 4 giugno 1944, erano rimasti alcuni funzionari ed impiegati del Ministero della Real Casa, in una nebbia giuridico-amministrativa. Il Governo di Salò ignorò infatti a lungo l’amministrazione della Real Casa, e non pretese dai suoi dipendenti quel giuramento di fedeltà che era stato imposto, viceversa, agli altri pubblici dipendenti sotto giurisdizione repubblichina. Circa le vicissitudini del reale palazzo, dal diario del conservatore del Quirinale, commendator Franco Villa, risulta che i due ufficiali delle........
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