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Caccia all’uomo riservata ai vip

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thursday

Chiamiamolo “caccia all’uomo”, e potrebbe trattarsi della trama di un film, quasi un horror: la prima scena inquadra due ricchi signori, un banchiere tedesco ed un industriale con interessi anche in Italia, che s’incontrano sul confine italiano, a Trieste. Corre l’anno 1994, sorridendo l’uno domanda all’altro il perché di questo viaggio nella ex Jugoslavia in piena guerra civile: la risposta è: “Si va a caccia”. Entrambi sono vestiti con abiti sportivi molto costosi d’una nota firma per indumenti da caccia, viaggiano a bordo di Range Rover V8 a benzina, scortati da polizie private. L’imprenditore rivela al banchiere che anche un loro vecchio amico sarà a Sarajevo, e a cena potranno terminare la chiacchierata interrotta a Montecarlo. Ma non andiamo oltre, anche se una querela da un blasonato vip suonerebbe d’ammissione di colpa: una sorta di excusatio non petita, accusatio manifesta. Il finale si spera sia un giusto processo, e una condanna per omicidio.

Certo è difficile per noi italiani normali credere, o anche solo ipotizzare, esistano ancora tra noi individui capaci d’entusiasmarsi alla sola idea di poter esercitare la caccia all’uomo. Viene spontaneo ipotizzare si tratti solo di storie narrate in romanzi e poi dal cinema. Ma homo homini lupus, espressione latina che significa “l’uomo è un lupo per l’uomo”, s’ispira a consuetudini ed istinti ancestrali mai sopiti. Soprattutto in coloro che detengono potere e soldi, che forse s’annoiano e provano profondo disprezzo verso la gente comune, soprattutto gli esclusi.

Il caso dei cecchini di Sarajevo è nuovamente al centro della cronaca perché, dopo trent’anni sarebbe emerso che “il Sismi scoprì i viaggi e li bloccò”. Ovvero c’erano anche italiani insospettabili, ma ricchi e potenti, tra coloro che acquistavano il biglietto per partecipare alla “caccia all’uomo” in una Sarajevo sconvolta dalla guerra civile jugoslava. A Sarajevo c’ero stato come giornalista, della pericolosità di girare per la capitale bosniaca (divisa in quattro come Vienna e Trieste ottant’anni fa) se ne parlava con l’ambasciatore Michele Valensise e con Vinko Puljić (oggi cardinale ed all’epoca arcivescovo cattolico bosniaco). Sarajevo era davvero pericolosa, e la versione ufficiale era che i cecchini fossero militari di fazioni opposte: veniva liquidata così questa brutta storia, ed è facile ipotizzare che pochi sapessero la verità. Homo........

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