«Voglio solo ballare e dire a tutti di non farsi del male con le parole»
LA STORIA. Giada Canino, la passione per la danza, i bulli online, la forza di reagire: la giovane di Calolzio si racconta in un libro.
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«La danza è il linguaggio nascosto dell’anima», scriveva Martha Graham. Lo ha scoperto fin da piccola Giada Canino, giovane con la sindrome di Down, che vive con la sua famiglia a Calolziocorte. Ha elaborato il suo personale alfabeto per raccontarsi con passi, salti, giravolte, accompagnando ogni coreografia con grandi sorrisi.
Quando Giada scende in pista quel «cromosoma in più» non ha più importanza. Quasi vent’anni, una vitalità contagiosa e una passione che ha trasformato le difficoltà in forza, si è impegnata per fare in modo che l’hip-hop scandisse il ritmo della sua vita, diventando il suo modo per stare al mondo, per superare ostacoli e regalare speranza agli altri.
La sua infanzia è stata accompagnata da continui controlli, visite e terapie, eppure Giada non ne ha risentito
Ogni gesto è un respiro, ogni coreografia una piccola poesia in movimento. La musica diventa il colore, e il corpo di Giada il pennello che disegna con delicatezza e grazia storie di coraggio e resilienza, come un acquerello realizzato en plein air. Fuori dalla pedana, porta la stessa energia nelle scuole, negli incontri, nelle testimonianze: un invito a credere che nessuna diversità può spegnere il talento e che la gentilezza può diventare un antidoto al bullismo.
Ora un libro racconta la sua storia, si chiama «Bulldown» (Mursia) scritto con Claudia Conidi Ridola, avvocata e autrice calabrese.
La storia di Giada è iniziata con sfide che avrebbero scoraggiato chiunque. A pochi mesi ha affrontato un’operazione complessa al cuore. «Sono state le otto ore e mezzo più lunghe della mia vita - ricorda il padre Elio -. Non eravamo sicuri dell’esito, era così piccola e vulnerabile. Avevamo paura di non vederla più. È stato un grande sollievo quando il chirurgo è uscito con un grande sorriso e ci ha detto: “È andata benissimo”. Da lì è iniziata la nostra nuova vita». Pochi anni dopo, la scoperta di un deficit visivo: «Una volta - continua Elio - un medico ci ha detto che Giada era cieca, e noi ci siamo sentiti persi, ma non ci siamo arresi. Abbiamo consultato un altro specialista che ci ha dato speranza, e aveva ragione. Con cure e controlli assidui oggi Giada vede poco, ma vede. Abbiamo imparato che i limiti si affrontano, non si subiscono».
Ogni allenamento porta a piccole........
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