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«Dsa è una sigla, ma non un’etichetta». Per uno sguardo che va oltre la diagnosi

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29.09.2025

LA STORIA. Cristina Moscatelli: «Da mio figlio Giovanni ho capito che il mio vero compito di genitore era credere in lui».

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Le risorse umane, come scrive Ken Robinson, educatore e scrittore britannico «sono come le risorse naturali, giacciono in profondità, ecco perché bisogna andarle a cercare e soprattutto bisogna creare le condizioni affinché si manifestino».
Ci vogliono pazienza e coraggio per farlo, come racconta Cristina Moscatelli di Treviglio, mamma di Giovanni, un ragazzo con disturbi specifici dell’apprendimento.

Oggi, come volontaria dell’Aid, Associazione italiana dislessia di Bergamo, si impegna in prima linea per smontare i pregiudizi sui «disturbi specifici dell’apprendimento» e creare un clima favorevole all’ascolto.


Cristina ricorda ancora con chiarezza i primi giorni di scuola di suo figlio. Le cartelle colorate, le matite nuove, i quaderni pieni di promesse. Ma per Giovanni quell’entusiasmo è durato poco. La matita, infatti, era un nemico ostinato: la teneva in mano, poi la lasciava cadere, come se bruciasse. Sul foglio tracciava segni incerti, mai un disegno compiuto. «Sembrava quasi che scrivere gli facesse male fisicamente — racconta Cristina — e io non riuscivo a capire il perché».


Le insegnanti usavano toni incoraggianti. «È questione di maturazione, serve tempo», ripetevano. Lei, però, nel silenzio della sera, guardava i compiti incompleti e sentiva crescere dentro di sé una voce più severa, soprattutto verso se stessa: «Forse non sto facendo abbastanza, forse sono io che sbaglio».

Era un pensiero che l’accompagnava spesso, nelle riunioni scolastiche e a casa. «Ogni giorno mi domandavo cosa non funzionasse, e ogni volta finivo col darmi la colpa», dice con sincerità.


La prima diagnosi è arrivata tardi, all’inizio della scuola secondaria, e non ha portato sollievo, prestando poca attenzione a chi era Giovanni davvero: «Noi genitori abbiamo avuto l’impressione che gli specialisti si siano concentrati solo sulle mancanze».


Sul documento finale c’erano parole pesanti, e Cristina ha avvertito subito il rischio che oscurassero il volto del bambino riducendolo a un’etichetta. «Ci hanno detto cosa non sapeva fare — ricorda Cristina — ma nessuno si è concentrato sulla personalità e le caratteristiche di Giovanni, sui suoi punti di........

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