Corruzione, la Cassazione “ridisegna” i confini del reato
La giustizia, si sa, ha i suoi tempi e anche i suoi labirinti. Ma quando si parla di corruzione, il labirinto si fa ancora più intricato e la Corte di Cassazione, con una recente sentenza che pare destinata a fare scuola, ha bacchettando la Corte d’Appello di Lecce per aver interpretato in modo troppo estensivo i contorni del reato. Il cuore della censura della Suprema Corte batte su un principio cardine del diritto penale: perché si configuri il delitto di corruzione propria, non basta la mera dazione o promessa di denaro o di altre utilità indebite e la loro accettazione da parte del pubblico ufficiale. Un concetto che, a un primo sguardo, potrebbe sembrare controintuitivo per il cittadino comune, abituato a identificare la corruzione con lo scambio di denaro. La Cassazione è categorica: è invece necessario che la promessa o dazione del corruttore e l’accettazione del corrotto convergono verso la medesima finalità e diano causa al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio. La sentenza riguarda un’indagine del 2016, denominata “Maricommi”, il presunto sistema illecito di gestione degli appalti e affidamenti presso proprio la Direzione Commissariato di Taranto della Marina Militare “Maricommi”. Ad essere coinvolti furono tra gli altri Elena Corina Boicea, Vincenzo Calabrese, Giovanni Di Guardo, Marcello Martire e Giuseppe Musciacchio. E, sono proprio loro a ricorrere in Cassazione contro la sentenza della........
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