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La demolizione dell’Europa inizia con i dazi

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29.07.2025

Il giudizio double face che sta emergendo in queste ore sull’imposizione dei dazi al 15% all’ Unione Europea da parte degli Usa di Trump non deve sorprendere. Hanno prevalso ragioni geopolitiche sugli interessi diffusi del libero mercato. Sotto la pressione delle forze sovraniste e dell’estrema destra la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen si è arresa di fronte alle richieste del tycoon rinunciando ad una trattiva nella quale sarebbero dovute emergere anche le contromisure sul fronte europeo. Così non è stato financo a spacciare come vittoria la percentuale concordata sui dazi. Certo, è ovvio, 15% è sempre meglio di 30%, ma è anche vero che questo non è un accordo a parità zero come, da più parti, a cominciare dal mondo economico e delle imprese, si riteneva dovesse essere.

Per di più nell’accordo unilaterale, a parte alcuni dettagli di deroga che devono ancora emergere ma secondari rispetto all’intesa generale, Trump porta a casa molto di più. L’Unione Europea ha accettato per conto dei suoi 27 paesi di acquistare energia ed armi per 750 miliardi di dollari dagli Stati Uniti a cui si sommano 600 miliardi di investimenti. Acquisti ed investimenti che visti i settori e le materie interessate (petrolio, gas e armi) vanno in direzione opposta rispetto agli orientamenti assunti dall’Unione Europea. Allo stesso tempo l’Unione Europea non imporrà dazi sulle importazioni di merci statunitensi. Insomma l’accordo trovato, o meglio dire imposto, non è solo asimmetrico ma rappresenta una vera e propria resa incondizionata le cui conseguenze saranno gravi se non interverranno sostegni ed aiuti che colmeranno le ripercussioni economiche. Sostegni ed aiuti che pagheranno tutti i cittadini a cominciare dall’eventualità, non certo remota, che la drastica riduzione del fatturato porti al ridimensionamento della forza lavoro attualmente in attività. Un capolavoro di diplomazia che solo i sovranisti europei e la destra italiana, con in testa Meloni e Salvini, potevano esaltare come salvifico piegandosi a motivazioni squisitamente politiche e di alleanza. Un accordo le cui premesse di sudditanza si sono viste già nei mesi scorsi con ulteriori concessioni ottenute dagli Stati Uniti: dall’innalzamento al 5% del Pil della spesa militare per i paesi della Nato all’esenzione delle aziende americane dalla nuova tassa globale sulle multinazionali.

L’accordo ci consegna anche una Europa sostanzialmente divisa e indebolita, come non avveniva da decenni e con giudizi difformi su quanto è avvenuto e sulle prospettive. È in atto, appare chiaro, il tentativo di smantellare l’unità dell’Europa, quella della civiltà del diritto, della solidarietà e della pace, per tornare all’Europa dei nazionalismi. La stessa discussione sul bilancio europeo e sul fondo comune, azzerando la Pac, segnala questo nuovo orientamento che va contrastato con una forte iniziativa politica delle forze progressiste e democratiche e con riforme strutturali che pieghino gli egoismi in campo per il perseguimento di obiettivi comuni.

Nel frattempo c’è da affrontare la sciagura dei dazi che richiede tempestività e risorse. A dirlo non sono i feroci bolscevichi dell’opposizione ma le forze e le organizzazioni delle imprese, a cominciare da Confindustria. Il presidente Orsini segnala che “l’Europa ha preso una sberla”. “Se ai dazi si somma pure la svalutazione del dollaro rispetto all'euro, che è del 12-13%........

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