Giacomo Matteotti, una testimonianza ancora attuale (di A. Roncaglia)
(di Alessandro Roncaglia, professore emerito di Economia politica presso la Sapienza Università di Roma, socio Linceo)
Come sappiamo, quest’anno ricorre il centesimo anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti. La ricorrenza è stata celebrata in mille modi: convegni, libri, articoli sulla stampa quotidiana, mostre. L’Accademia dei Lincei si inserisce in questa serie di iniziative con un convegno scientifico, secondo le sue tradizioni. Cercheremo di ricostruire i diversi aspetti del pensiero di Matteotti, con quell’impostazione interdisciplinare che costituisce il tratto caratteristico della nostra Accademia.
La ricostruzione della figura di Matteotti come martire dell’antifascismo – come in effetti è – lascia in ombra la sua figura di dirigente politico di grande spessore intellettuale, oltre che civile e morale. La sua figura di socialista pragmatico, alieno da utopie rivoluzionarie ma radicalmente orientato in senso progressista, presenta un insieme di sfaccettature che le varie relazioni cercheranno di illustrare. Accanto al pensiero più propriamente politico, sul quale concentrano l’attenzione storici e politologi, vi sono importanti contributi giuridici – come negli studi giovanili sulla recidiva, o nelle proposte di riforma dei regolamenti parlamentari – o economici e tributari, le proposte di riforma agraria, la difesa delle autonomie locali.
In tutti questi aspetti, l’elemento unificante è la scelta di campo politica. Il socialismo di Matteotti non è quello marxista della dittatura di classe del proletariato: è piuttosto quello delle origini, la difesa dei ceti più deboli, in particolare della massa dei braccianti e dei contadini, con l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze, non solo economiche ma anche culturali e di potere in senso lato, con un forte accento sull’istruzione.
Questa scelta lo contrappone al fascismo e a Mussolini. Agli occhi di Matteotti, nella ricerca del potere Mussolini aveva tradito le sue origini socialiste scegliendo di fondare la sua ascesa sull’appoggio della borghesia conservatrice e degli agrari, e paga questo appoggio con misure adottate subito dopo l’ascesa al governo.
In un importante saggio sulla politica economica del fascismo, Sylos Labini ne ricorda alcune. La prima è l’abolizione della nominatività dei titoli azionari, che impedisce una tassazione progressiva, dei redditi come delle eredità, decisa il 10 novembre 1922. Segue, il 6 febbraio 2023, la chiusura della Commissione d’inchiesta sulle spese di guerra, quindi una misura che contraddice frontalmente la retorica combattentistica per salvare gli industriali che si erano arricchiti con le commesse belliche (mentre la tassazione dei sovra-profitti di guerra era un punto fermo nelle proposte di Matteotti fin dalla conclusione della guerra). La Commissione presenta una relazione alla quale non si darà alcun seguito, mentre la documentazione raccolta viene in larga parte dispersa, consegnandola su richiesta ai diretti interessati. Due giorni dopo viene trasferita ai privati la rete telefonica; due mesi dopo viene abolito il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita; in agosto viene abolita l’imposta sulle successioni. Già alla fine del 1922 alcune grandi banche private vengono salvate con il denaro pubblico. A favore della piccola borghesia vanno le assunzioni in massa nella pubblica amministrazione, nell’esercito e nella milizia di partito (ma pagata dallo Stato) e una politica restrittiva nella concessione delle licenze per il commercio al minuto. Tutto questo mentre – come mostra Matteotti – le squadre fasciste finanziate dagli agrari colpiscono cooperative e sindacati, quindi il potere contrattuale dei lavoratori: negli anni del regime, anche per effetto della politica corporativa e dell’autarchia, i salari reali scenderanno del 20%, mentre in Inghilterra aumentano del 10%.
Il tradimento attribuito a Mussolini spiega quell’elemento di disprezzo che nei suoi discorsi Matteotti fa spesso trapelare; e, per contro, spiega la natura profonda dell’odio che Mussolini mostra nei suoi confronti, più che verso qualsiasi altro esponente delle opposizioni. Inoltre, queste politiche hanno un effetto dirompente e duraturo........
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