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Se lo shopping diventa una forma di autoregolazione emotiva

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30.07.2025

Da tempo apro gli occhi e mi ritrovo davanti ad una realtà che non vorrei riconoscere né vedere. Da un lato c’è un’insicurezza diffusa: lavoro instabile, inflazione che morde e un’impossibilità cronica di accedere a una casa o a un futuro minimamente pianificabile. Dall’altro, invece, una voglia (collettiva) viscerale di desiderare, possedere e sentirsi parte di qualcosa. Ed è in questo cortocircuito tra precarietà economica e consumo che si sta formando un nuovo “modo di spendere”, lontano da qualsiasi forma di razionalità. È questa la doppia realtà, a metà tra crisi e bisogno di significato, in cui si muove una generazione cresciuta sotto il peso di pandemia, recessione, emergenza climatica, affitti fuori misura e debiti.

In questo scenario, parlare di “risparmio per il futuro” suona più come un’illusione che un’opzione. Così, invece di inseguire obiettivi a lungo termine, si sceglie di vivere il presente, spesso spendendo anche quando non si potrebbe. Non per superficialità ma per difesa, perché il denaro non è più uno strumento per costruire ricchezza ma un modo per ritrovare un minimo di stabilità emotiva. Le microspese diventano strumenti per stare meglio: ​​il pupazzo peluche Labubu attaccato alla borsa, il portachiavi Prada da 300€ appeso su un capo Uniqlo da cinquanta, la minigonna Miu Miu “presa in affitto” per un weekend o la borsa Louis Vuitton x Murakami comprata su Vinted a rate.

Ogni oggetto ha una funzione regolatrice: non risolve, ma riequilibra. Ogni acquisto serve a riequilibrare l’umore, lo shopping è diventato una forma di autoregolazione emotiva.

La logica del denaro - risparmiare, investire, rinunciare - è stata archiviata. Non è incoscienza ma un bisogno di protezione, in un contesto in cui l’incertezza è diventata la norma, la ricerca di bellezza e gratificazione immediata, diventa l’unico modo per riappropriarsi di qualcosa che sembri autentico. Quando tutto il resto è incerto, avere il controllo su una minuscola parte della propria immagine, anche solo attraverso un oggetto, diventa fondamentale.

I dati lo confermano, in Italia, secondo un’indagine Deloitte del 2025, il 38% dei giovani vive senza la possibilità di risparmiare nulla. Il 63% non crede che riuscirà mai ad acquistare una casa e più di un terzo affianca un secondo lavoro per far quadrare i conti. È in questo vuoto materiale che si infiltra la logica del consumo identitario, perché non si compra più solo per bisogno ma per definizione: l’oggetto diventa uno specchio, una sintesi di ciò che si vuole raccontare di sé. In un’epoca in cui tutto si comunica e in cui tutto è esposto, l’oggetto è un linguaggio, il prodotto non........

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