L’Italia abbassa l’iva sull’arte: rivoluzione o occasione mancata?
Dal 1° luglio 2025 l’Italia ha imboccato una strada nuova: l’IVA sulle opere d’arte, sugli oggetti di antiquariato e da collezione scende al 5%. La misura, a lungo attesa da galleristi e case d’asta, ci allinea finalmente ad altri Paesi europei che già da anni applicano aliquote ridotte. Ma si tratta di una vera rivoluzione o solo di un aggiustamento tecnico?
Una riforma che parte da lontano
L’abbassamento dell’IVA non nasce dal nulla. Già dagli anni Duemila il settore chiedeva un allineamento con i mercati più competitivi. La Direttiva europea 2022/542 ha poi aperto la strada, consentendo agli Stati membri di applicare aliquote ridotte per beni culturali. Francia e Germania si sono mosse subito; l’Italia ha atteso fino al Decreto Omnibus del giugno 2025, quando è arrivata la svolta. Non solo un’invenzione dell’ultimo governo, dunque, ma il risultato di un percorso lungo, frutto di compromessi e pressioni crescenti.
Italia più competitiva, ma non ancora leader
Per decenni il nostro mercato ha sofferto la concorrenza estera: con il 22% di IVA, comprare un quadro a Roma costava molto di più che a Parigi, Berlino o Londra. Con il nuovo 5%, l’Italia si avvicina alla Francia (5,5%) e alla Germania (7%) e diventa persino più attrattiva del Regno Unito, dove l’import gode sì di un’IVA ridotta al 5%, ma la vendita primaria (vedi box per approfondimento) resta al 20%. Importare un dipinto a Milano oggi è più conveniente che a Madrid, dove le aliquote restano tra il 10% e il 21%.
Vendita primaria e secondaria: cosa cambia
Nel mercato dell’arte si distingue tra vendita primaria e vendita secondaria.
La “vendita primaria” è la prima immissione sul mercato di un’opera, cioè il passaggio diretto dall’artista (o dalla galleria che lo rappresenta) al collezionista. È il segmento che sostiene gli artisti viventi e l’arte contemporanea, generando reddito diretto per loro.
La “vendita secondaria” è invece la rivendita di un’opera già acquistata in precedenza, tipicamente tramite case d’asta, antiquari o gallerie che trattano opere già circolate. Qui l’artista non beneficia più del prezzo di vendita, salvo il diritto di seguito, e il mercato riguarda collezionismo e valorizzazione dell’antico.
La distinzione è cruciale: sul piano fiscale molti Paesi riservano aliquote ridotte alle vendite primarie per sostenere la creatività contemporanea, mentre la secondaria rimane più gravata o regolamentata. Sul piano politico-culturale, favorire la primaria significa investire direttamente nel futuro dell’arte.
Opportunità e rischi
Il taglio dell’IVA, dunque, porta con sé grandi opportunità. L’arte diventa fiscalmente più accessibile, permettendo a nuovi collezionisti di avvicinarsi al mercato. L’Italia, con il 5% sulle importazioni, può trasformarsi in un hub di ingresso privilegiato per opere da Stati Uniti e Asia, rafforzando i nostri snodi culturali e commerciali. Per l’arte contemporanea questa è una spinta decisiva: artisti viventi e gallerie trovano un contesto più favorevole, che potrebbe stimolare vendite e produzione.
Ma ci sono anche dei rischi. Il gettito per lo Stato si riduce e, senza un aumento delle transazioni, il saldo rischia di essere negativo. La convivenza tra IVA ridotta e regime del margine genera complicazioni tecniche, con il pericolo di errori e contenziosi. E soprattutto, il beneficio rischia di concentrarsi sulle gallerie di contemporaneo, lasciando antiquari e case........
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