Fascisti in democrazia o Fascisti contro la democrazia? Almirante e Rauti alle radici della destra
Davide Conti è forse tra gli autori più attrezzati per parlare di neofascismo (è stato consulente dell’ Archivio Storico del Senato e della procura di Bologna e Brescia per le stragi ben note).
Leggendo il suo ultimo libro, documentatissimo, intitolato Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra 1946-76 per Einaudi ho riflettuto su una considerazione preliminare: è proprio vero che la scelta antifascista sia una categoria superata dato che riguarda anni remoti tra il 1943 e il 1945, e il fascismo e l’antifascismo sono morti e sepolti come si sente dire dalla destra al governo? Sembra proprio di no, se si conoscono le vicende del Movimento sociale italiano e di Giorgio Almirante (reduce della Repubblica di Salò e tra i fondatori del Movimento sociale italiano) e Pino Rauti (che fondò il gruppo Ordine nuovo per poi rientrare nel Msi alla vigilia della strage di Piazza Fontana e in seguito per diventarne se pur per poco segretario): comunità fortemente ostili alla democrazia, come emerge in molte dichiarazioni degli stessi protagonisti, e a cui continua ad ispirarsi parte della destra. Del resto quell’area ha rappresentato dopo la proclamazione della Repubblica una parte della popolazione del nostro Paese che non ha mai fatto veramente i conti con il tragico ventennio fascista.
Fa impressione a questo proposito il giudizio dello stesso Aldo Moro, ripreso nelle prime pagine del libro, risalente al 1962:”L’entità di questo rischio per le istituzioni non si computa né in voti né in seggi parlamentari [...] esso non risiede intero, pur nell’innegabile riferimento ideale e storico che esso fa al fascismo, nel Msi. Sappiamo bene che [...] la radice del totalitarismo fascista affonda nel corpo sociale della nazione, là dove sono privilegi che non vogliono cedere il passo alla giustizia [...] là dove sono angustie mentali, egoismi e chiusure, là dove si teme la libertà [...] là dove ci si affida incautamente alla illusoria efficacia risolutrice della forza”.
Là dove, si potrebbe aggiungere, sono ancora tutti attivi gli argomenti di quella scelta antifascista tanto più vincolanti nei decenni della violenza neofascista del secondo Novecento (che non esclude naturalmente una speculare scelta antiterrorista anche sul fronte opposto, quello del cosiddetto terrorismo rosso). Certo i due dioscuri del neofascismo Almirante e Rauti non furono sempre in sintonia, alternando momenti di stretta convergenza con fasi di aperto conflitto. Tuttavia il loro lascito - afferma Conti - esprime ancora oggi le profonde radici culturali e identitarie nonché il carattere cui si ispira il postfascismo contemporaneo.
È importante però contestualizzare le vicende del neofascismo nel quadro della politica italiana e internazionale del dopoguerra (tra i pregi notevoli del libro) e considerare i fattori storico-politici che resero possibile la nascita di un partito fascista all’interno di una rifondata democrazia antifascista (il Msi fu fondato il 26 dicembre del 1946). Sul piano internazionale l’incipiente Guerra fredda, nel nuovo sistema geopolitico bipolare, che apriva spazi di agibilità politica sia ai reduci del regime sia a quelli di Salò come «forza di riserva», seppur subordinata e subalterna, nell’ottica di un eventuale scontro comunismo/anticomunismo.
Sul piano nazionale certo l’assenza di una “Norimberga italiana” ma anche la persistenza nel corpo istituzionale della Repubblica e nei suoi gangli vitali (dagli apparati di forza alla magistratura, dalla pubblica amministrazione alla struttura dell’economia) delle classi dirigenti che per oltre venti anni avevano dato corpo, sostanza e indirizzo alla dittatura.
In seguito il famoso fattore K e l’impossibilità dell’ingresso del Pci nell’area di governo dovuto agli equilibri internazionali e la crisi dell’esperienza del centro sinistra alla fine degli anni Sessanta che garantirono spazi di manovra alla destra neofascista. «L’alternativa di sistema», illustrava Almirante, trovava nella tensione, presente e diffusa nel Paese, il suo principale fattore di legittimazione e praticabilità”: tensione e strategia della Tensione appunto.
Il 12 dicembre 1969 la strage compiuta da Ordine Nuovo nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano (16 morti e 88 feriti) sconvolse il Paese provocando il piú grave massacro di civili dai tempi della Seconda guerra mondiale. L’attentato terroristico fu realizzato proprio nel giorno dell’approvazione, in prima lettura al Senato, dello Statuto dei lavoratori e giunse alla fine di una campagna di azioni eversive con l’obiettivo di fondo – spiega Conti – di trasferire dal terreno politico-sociale a quello politico-paramilitare i termini del conflitto sviluppatosi in Italia nel........
© HuffPost
visit website